Reputazione e valori. Qualcosa è cambiato
Ronaldo, l’Uefa ma non solo. Gli incidenti “diplomatici” si moltiplicano prendendo in contropiede organizzazioni e brand. E i valori devono entrare nel Risk Management
Prima Cristiano Ronaldo che in conferenza stampa sposta con sguardo torvo le bottiglie di Coca Cola, sponsor ufficiale Uefa, al grido di “Agua!”, un piccolo gesto per il calciatore, una grande perdita economica per la multinazionale. Poi Paul Pogba che fa lo stesso con la birra Heineken, altro colosso nel Gotha degli sponsor.
E ancora, la polemica asperrima che ha circondato il “no” della Uefa alla richiesta del sindaco di Monaco di illuminare lo stadio Allianz Arena con i colori della bandiera LGBT, in vista della partita Germania contro Ungheria, di cui conosciamo bene la posizione in merito ai diritti umani, sessuali e di genere. Una polemica che ha obbligato l’Uefa a dover rimediare in corsa, con un comunicato ufficiale e una spruzzata di arcobaleno sul proprio logo (rainbow washing?). Volendo esagerare, aggiungerei anche il momento in cui metà squadra degli Azzurri si è inginocchiata prima di Italia-Galles in sostegno al movimento Black Lives Matter e l’altra metà è rimasta in piedi: più che la spaccatura data dalla scelta personale, è stato imbarazzante il “balletto decisionale” venuto dopo per stabilire se far stare in piedi o in ginocchio tutta la squadra (da ultimi aggiornamenti pare rimarranno in piedi. Vedremo…).
L’elenco potrebbe andare avanti. Tutti questi episodi rendono evidente che brand, istituzioni e organizzazioni sono in difficoltà. Anzi, lo siamo tutti. Perché passare dalle parole ai fatti sulla grande partita dei “valori” è molto simile alla situazione di chi subisce un contropiede improvviso e fatica a recuperare la posizione in campo.
Ciò che succede quando alle dichiarazioni non seguono le azioni
Oggi tutti parlano di sostenibilità e di valori positivi. Tutti tendono a confermare quanto sia importante mettere a punto meccanismi preventivi per tutelare la propria reputazione, in quanto fattore critico e di rischio, che ha sempre più una diretta implicazione economica. Le cronache di questi giorni, però, raccontano un’altra realtà e dimostrano come nessuno sia davvero pronto alla portata e alla rapidità della sfida in atto. Perché, dal caso Ronaldo a tutta la polemica sui diritti umani che ha investito l’Uefa, anche le organizzazioni più strutturate come le federazioni sportive e i grandi brand continuano a inciampare in situazioni di questo genere.
Analizzando il contesto, emergono due fattori. Da una parte, ormai è evidente che esiste un livello di attenzione e sensibilità esponenziale a tutta una serie di fattori che fino a poco tempo fa non venivano presi in considerazione e che invece oggi sono sempre più sensibili. Magari da una minoranza, ma una minoranza che di giorno in giorno si fa sempre più grande e che soprattutto ha una voce sempre più chiara e forte. Nel triangolo media-social network-opinione pubblica questo crea dei picchi di attenzione che possono trasformarsi in vere e proprie crisi.
Dall’altra parte, seppur nel dibattito pubblico tutte le organizzazioni si facciano promotrici di valori positivi come quelli legati alla sostenibilità, alla responsabilità sociale, al benessere, alla salute, non si è ancora capito fino in fondo cosa vuol dire anticipare il più possibile i fattori di rischio che questi valori portano con sé.
La crisi è sempre dietro l’angolo…
Per riprendere il caso Ronaldo, il punto di domanda riguarda la consapevolezza di un brand (che ha il sacrosanto diritto di investire i propri soldi e sostenere le iniziative che ritiene più valide) circa i rischi connessi a scegliere ambiti e intensità della visibilità dove il proprio prodotto, volente o nolente, può essere considerato “lontano” in termini di valori, come lo sport e il benessere fisico. Così come l’Uefa, nel selezionare gli sponsor e offrire loro gli spazi di visibilità ma anche nel decidere se aderire o meno a determinate “battaglie sociali”, ha capito fino in fondo l’evoluzione rapidissima e inarrestabile di parte dell’opinione pubblica e degli spettatori ma anche dei protagonisti medesimi di questi eventi sportivi?
I fatti di cronaca degli ultimi giorni lanciano un inequivocabile segnale, che è importante recepire, perché il rischio che si crea può avere conseguenze reputazionali e può sfociare in crisi di governance (“Voglio la testa del responsabile!”) oppure di tipo economico, con impatti importanti sulle azioni e la Borsa.
Comportamenti e atteggiamenti, un continente ancora sconosciuto
Dalla teoria alla pratica. I comportamenti e gli atteggiamenti sono ancora una dimensione poco presidiata dalle organizzazioni complesse: ma l’opinione pubblica ormai è in costante movimento e sempre più imprevedibile. Così, succede che se un noto programma che fa propri i valori del progresso e dell’inclusione sociale, dell’equità e della diversità invita una sola donna a intervenire in mezzo a tanti uomini, scoppia il caso mediatico. Oppure capita che una rivista tecnico-scientifica si prenda la briga di evidenziare insieme a ricercatori dell’università come nella comunicazione social di gran parte delle case farmaceutiche manchi la figura del paziente.
Tutte “spie” di un cruscotto sempre più complesso che ci indica come non sia più sufficiente dirsi a favore di determinati valori e di come, al contrario, sia necessario conoscerli a fondo, analizzarne le tante implicazioni per governarle e prevedere i rischi correlati.
Ci vuole, dunque, un maggiore sforzo culturale e organizzativo per fare diventare la questione dei temi sensibili una componente del risk management, che invece è ancora molto legato ad altre dimensioni. Questo è il salto di qualità che va compiuto al più presto.
Siamo di fronte a una nuova sfida
In conclusione: seppure è perfettamente comprensibile la fatica nell’adattarsi a questa nuova situazione, appare inutile la reazione stizzita o, ancora peggio, considerare questi fatti come sterili esagerazioni. La società sta cambiando, l’asticella si alza sempre di più, i segnali sono chiari. Non possiamo essere sordi alle nuove istanze che stanno emergendo: piacciano o meno. Quindi rimbocchiamoci le maniche e raddrizziamo le antenne: le sette regole dell’ascolto attivo di Marianella Sclavi possono essere un buon punto di (ri)partenza.
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