Impact design, è arrivato il momento di parlare del nuovo rapporto fra società e mercato

21 Giu, 2021 | Focus Italia

La summer school dell’Università di Urbino Carlo Bo è organizzata da Giovanni Boccia Artieri e Paolo Iabichino. Il percorso ripensa la comunicazione d’impresa nell’epoca della sostenibilità

Quante volte abbiamo sentito nominare il purpose, parlando di mercato, comunicazione e imprese? Forse così tante da pensare che la parola iniziasse a svuotarsi di significato. Eppure l’idea del purpose, dello scopo, rimane centrale e radicata nella comunicazione d’impresa. Che sia arrivato il momento di darle un rinnovato significato, una rinnovata profondità e di farlo rispondendo alle nuove sensibilità che si stanno imponendo? C’è chi sta ragionando già su questi temi. All’Università di Urbino Carlo Bo a maggio è iniziata la summer school Impact Design, che affronta il tema della progettazione (Design) della responsabilità sociale (Impact) nella comunicazione delle imprese.

 Creato e co-diretto da Giovanni Boccia Artieri, professore ordinario di Sociologia dei Processi Culturali e Comunicativi e Paolo Iabichino, direttore creativo, scrittore pubblicitario e fondatore dell’Osservatorio Civic Brands, il percorso universitario si avvia verso i suoi ultimi incontri. Abbiamo intervistato Giovanni Boccia Artieri che ci ha parlato di civismo, evoluzione delle narrazioni, ruolo dei consumatori.

Impact design, competenze di cui si sente l’esigenza

Trenta posti e tutti esauriti, appena il tempo di progettarla e farla approvare, nemmeno un mese di promozione e la summer school Impact Design è partita in quarta. “Oltre a studentesse e studenti, c’è stata tanta presenza di persone che sono già nel mondo del lavoro, soprattutto freelance che lavorano con le imprese. Testimonianza che c’è un’esigenza molto concreta, vivida, palpabile di nuove competenze” – racconta Giovanni Boccia Artieri.

L’idea di creare un percorso universitario sull’Impact Design nasce dalla formula “Carosello is back”, le lunghe dirette, prima Instagram e poi Facebook, tenute nei giorni del lockdown da Iabichino e Boccia Artieri (che oggi prosegue nella veste “Carosello is book”, in cui si parla di libri). “Nelle nostre chiacchierate abbiamo avuto come ospiti imprese di diversa natura e abbiamo visto che molte di loro erano estremamente sensibili ai temi della sostenibilità. Declinati, però, in maniera nuova. L’idea del purpose, centrale nella comunicazione d’impresa, richiedeva di raccogliere nuove sensibilità, che nascono da un clima diverso che stiamo vivendo. Da queste chiacchierate con Paolo Iabichino è venuta l’idea di provare a introdurre nella formazione universitaria delle competenze nuove, che non ci sono ancora sul mercato ma che sono già presenti nelle esigenze lato imprese e lato clienti.”

Ai momenti didattici, il corso ha accompagnato la testimonianza delle imprese e un project work per una grossa azienda (è ancora un sorpresa…). Tanti i temi affrontati e i professionisti e le professioniste intervenuti. Con Paolo Iabichino e Ipso si è parlato di civic brands, Boccia Artieri ha trattato i temi della digital communication e dei networked brands portando l’esperienza di Altromercato, Vincenzo Cosenza ha approfondito i concetti di marketing aumentato. Roberta Bartoletti e Guido Guerzoni hanno affrontato il tema della progettazione culturale, Alice Siracusano ha lavorato sul corporate journalism. Insomma, un percorso complesso e approfondito alla scoperta dell’impact design.

The times they are a-changin’…

Una cosa è certa: i tempi stanno cambiando. Se una volta il mantra delle aziende era solo il profitto, oggi il mercato, i consumatori, richiedono ben altro impegno alle imprese. “L’orizzonte di sviluppo della nostra vita va ripensato rispetto al rapporto con gli altri esseri umani, con le specie che ci circondano, con il pianeta che abitiamo” – spiega Boccia Artieri. “Mi sembra che questa sia una sfida che la pandemia ha accelerato: occorre riportare al centro della discussione il rapporto diverso che oggi c’è fra società e mercato.”

Ed è all’interno di questo nuovo rapporto che la nozione di impatto assume un significato cruciale. “Il concetto di impact prende avvio dalla consapevolezza che lo sviluppo non può più permettersi di sacrificare l’equilibrio fra le diverse forme di capitale. Il valore creato dalle imprese va ridistribuito tenendo conto del fatto che c’è un’interdipendenza fra il capitale economico, quello sociale, quello naturale, quello umano, quello culturale, quello finanziario. La generazione di un profitto economico oggi non può prescindere da una contemporanea generazione di benessere civico. Per questo, l’impact è una strategia di convivenza fra le imprese e i cittadini. E il segnale più forte è che questa richiesta viene dalle imprese.”

Cittadini/consumatori

Dalle imprese più grandi e strutturate, la dimensione dell’impact come asset fondamentale delle strategie di impresa inizia a diffondersi anche alle realtà più piccole e artigianali. Tutto parte dalla ridefinizione del patto con i cittadini/consumatori, attentissimi al reale impegno di un’azienda. “Tu puoi anche fare greenwashing, ma poi ti confronti con i consumatori, cioè con i cittadini – commenta il direttore della summer school Impact Design. “E quella è la prova del nove. Se non hai tu la sensibilità interna sicuramente ce l’ha il tuo pubblico, che fa da cartina al tornasole della tua autenticità e dei tuoi valori.”

Anche perché il ruolo del pubblico, dei consumatori, è radicalmente cambiato negli ultimi anni, complici anche le nuove modalità comunicative dei social media. “Oggi i cittadini/consumatori sono connessi fra di loro, sono online oltre che sui territori. Per lo stesso motivo per cui una campagna di comunicazione incontra un epic fail online, un prodotto o un servizio che nascondono greenwashing saranno smascherati dai cittadini. Siamo sensibili, più connessi fra di noi. Se prima alcune considerazioni venivano tenute per sé, ora si posta su Facebook, si scrive su Twitter, si fa una story su Instagram, si inventa un hashtag. Senza esagerare sulla portata dei social media, va comunque detto che i cittadini si sentono anche più in diritto e in dovere di dire la loro rispetto a operazioni finte di impact.” 

Quale comunicazione per l’impact design?

Se l’approccio delle imprese nei confronti della sostenibilità cambierà, come già stiamo vedendo, a livello organizzativo e gestionale, inevitabilmente cambierà anche la loro comunicazione. Ci saranno nuove narrazioni. Ma come saranno?  Sarà necessario aprirsi a delle tensioni narrative riconoscibili, che partono da valori ed elementi presenti nell’impresa, che sono già comportamenti di impresa. Le imprese per cui il civismo è diventato un modello di business devono lavorare su elementi di riconoscimento dei propri valori, in quanto desideri e necessità del pubblico e cercare di creare sempre una comunicazione che implichi una call to action, un campo di azione in cui il cittadino/consumatore possa esprimere la sua sensibilità.”

Una sensibilità che si fa ogni giorno più acuta, attenta, a prova di greenwashing. Perché non è più l’ora dei proclami e delle intenzioni, ma è quella dell’impegno concreto: in una parola, dell’impatto.

Micol Burighel

 

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