Questione di diversità: i brand inclusivi crescono del 23% in più

L’edizione 2022 del Diversity Brand Index conferma la spinta positiva della D&I su fiducia, lealtà, passaparola e crescita
Questione di diversità che diventa questione di competitività e crescita. Anche quest’anno il Diversity Brand Index dimostra come le aziende che si impegnano concretamente nell’inclusione vengano poi premiate da consumatori e consumatrici. E non poco: il 77,5% della popolazione è maggiormente propenso verso i brand più inclusivi.
La ricerca, ideata e realizzata dalla no profit Diversity insieme alla società di consulenza Focus Mgmt, dal 2018 indaga il livello di inclusività dei brand, approfondendo 7 diverse aree di diversità (di genere, etnia, orientamento sessuale e affettivo, età, status socioeconomico, abilità e credo religioso). L’indagine non solo va a misurare l’effettivo impegno dei brand sul tema della Diversity & Inclusion ma esplora anche la percezione di consumatori e consumatrici, coinvolgendo un campione di oltre mille persone in Italia.
Diversity Brand Index 2022: dai ricavi al passaparola, l’inclusione fa la differenza
Più si è inclusivi e più i ricavi crescono: precisamente, tra i brand più attenti e quelli più indietro su queste tematiche c’è un differenziale di crescita del 23%. Ancora più impressionanti i dati relativi al passaparola, calcolati attraverso il Net Promoter Score, strumento che indica la propensione di un cliente al passaparola positivo o negativo. I brand inclusivi registrano un ottimo dato, il +86,5%, mentre i brand non inclusivi raccolgono un -77,2%.
Com’è cambiato il profilo di consumatrici e consumatori
Il Diversity Brand Index raccoglie anche un interessante set di dati in merito alla percezione di consumatrici e consumatori relativa ai temi D&I e al loro grado di polarizzazione.
Le persone intervistate sono state divise in gruppi in base alla loro posizione sul tema della D&I.
- Il cluster delle/degli arrabbiatissime/i sparisce del tutto. Rimane quello delle/degli arrabbiate/i, che si attesta intorno al 22%. Rispetto alle precedenti edizioni, questo gruppo dimostra una nuova sensibilità verso i temi dell’orientamento sessuale e romantico. Nonostante queste persone vivano ancora come una minaccia la diversità, soprattutto quella etnica e religiosa, il dato rivela un’apertura verso forme di diversità che una volta erano completamente rifiutate.
- Il gruppo di chi è attento e attivo sulle tematiche della diversity è il più numeroso con il 60,2%. In questo cluster, il 29,4% si definisce impegnato, il 15,6% coinvolto e il 15,2% consapevole.
- Diminuiscono le/i “tribali” (12,6%,), un gruppo scoppiato l’anno scorso in epoca COVID. Questo gruppo riunisce persone tendenti all’individualismo, una volta distanti dall’inclusione, che oggi si sentono vicine ad alcuni tipi di diversità (soprattutto nella loro declinazione di orientamento sessuale e romantico) nel momento in cui coinvolgono il loro nucleo familiare.
- Emerge un cluster nuovo. È quello delle/dei Green (4,7%), che comprende persone familiari al tema della diversità ma poco attive sul tema, caratterizzate anche da una parallela attenzione verso la dimensione ambientale e la sostenibilità.
I brand più inclusivi
Le persone intervistate hanno citato un numero di realtà inclusive leggermente inferiore rispetto allo scorso anno (366 contro 388). I primi 50 brand percepiti dal mercato come più inclusivi cambiano dal punto di vista settoriale. Crescono il retail (+8%), il lusso (+ 4%), che diventa il secondo settore più indicato, i beni di largo consumo (+2%) e i consumer services (+2%). Fanno passi indietro invece l’information technology (-8%), i media (-2%) e il benessere (-2%).
Ma chi c’è nella TOP20? Actimel, Amazon, Barbie, Burger King, Coca-Cola, Decathlon, Diesel, Durex, Esselunga, Fastweb, Freeda, FS Italiane, Google, H&M, Ikea, L’Oréal, Netflix, Sorgenia, TIM e Vodafone. Secondo questa ricerca, sono questi i brand che sono stati in grado di portare avanti un impegno reale per l’inclusione, comunicando in maniera efficace il loro percorso.
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