La sostenibilità non si improvvisa: UE contro il greenwashing

L’UE cambia le regole del gioco per contrastare il greenwashing, un fenomeno che ha già portato a sanzioni in casi concreti. Le nuove direttive chiedono alle aziende trasparenza, dati verificabili e comunicazione responsabile.
“Sostenibile”, “amico dell’ambiente”, “a impatto zero”: termini che ormai riempiono le etichette dei prodotti, le pagine dei siti web, le pubblicità. Il linguaggio della sostenibilità è diventato familiare, a tratti inflazionato. Ma quanto è reale ciò che viene dichiarato? Quanto di ciò che leggiamo è fondato su dati concreti e verificabili e quanto invece può rientrare nel calderone del greenwashing?
Nel 2021, una ricerca della Commissione Europea ha rivelato che nel 42% dei casi le affermazioni ambientali usate dalle aziende erano esagerate, false o ingannevoli. Il 53% delle dichiarazioni analizzate non forniva prove sufficienti a supportare le proprie affermazioni. È in questo vuoto che si inserisce il greenwashing: una strategia comunicativa che punta a “sembrare sostenibili”, senza esserlo davvero.
Greenwashing: un danno per tutti
Il greenwashing non è solo una questione di marketing scorretto. Ha effetti reali e profondi: mina la fiducia dei consumatori, danneggia le aziende che investono realmente nella sostenibilità e rallenta la transizione ecologica. L’inflazione delle etichette ambientali rende difficile per il cittadino distinguere tra chi agisce e chi finge. Il risultato? Disillusione, confusione e una partecipazione sempre più debole ai processi di cambiamento.
Anche dal punto di vista finanziario le implicazioni sono pesanti. Gli investitori ESG rischiano di allocare risorse verso imprese che non apportano reali benefici ambientali o sociali, con ripercussioni sui rating di sostenibilità e sul valore degli investimenti.
La risposta dell’Unione Europea
Per contrastare questo fenomeno, l’Unione Europea ha introdotto due strumenti chiave: la Direttiva (UE) 2024/825 e la proposta di Green Claims Directive. Entrambi mirano a garantire che le affermazioni ambientali siano fondate su dati verificabili e comunicate con trasparenza.
Con la direttiva 2024/825 – Empowering consumers for the green transition – entrata in vigore nel marzo 2024, viene vietato l’uso di dichiarazioni ambientali generiche come “rispettoso del clima” o “sostenibile”, se non accompagnate da prove concrete. Sarà possibile utilizzare queste definizioni solo se supportate da sistemi di certificazione riconosciuti, approvati da enti indipendenti e basati su standard europei.
In parallelo, la Green Claims Directive mira a garantire che le dichiarazioni ambientali delle aziende siano affidabili, verificabili e comparabili in tutta l’UE, contrastando il greenwashing. Si applica a dichiarazioni volontarie e sistemi di etichettatura ambientale non regolati da altre leggi UE. Le affermazioni devono essere verificate da terze parti indipendenti prima di essere diffuse, vietando l’auto-certificazione e le etichette senza un sistema di certificazione credibile.
La direttiva ha quattro obiettivi principali: rendere le dichiarazioni ecologiche trasparenti e comparabili, proteggere i consumatori dal greenwashing, favorire scelte consapevoli in un’economia circolare e creare parità di condizioni sugli impatti ambientali dei prodotti. Il suo scopo è anche di responsabilizzare le aziende e i consumatori nella transizione verso un’economia verde. La proposta entrerà in vigore nel 2026, con gli Stati membri tenuti ad adottarla entro due anni.
Niente più etichette “green” autoproclamate
Un elemento fondamentale riguarda le etichette. Oggi esistono oltre 200 marchi ambientali in Europa, molti dei quali sono auto-dichiarati, senza controllo o standard condivisi. Le nuove normative puntano a ridurre drasticamente questa frammentazione. Le etichette dovranno essere basate su sistemi comuni, validati a livello europeo. Quelle che non rispondono a requisiti minimi di trasparenza, tracciabilità e verifica, saranno vietate.
In questo modo, il consumatore potrà fare scelte consapevoli e comprare prodotti e servizi in modo semplice, evitando di cadere in trappole comunicative prive di fondamento.
Casi concreti: FlixBus e Adidas
Due casi emblematici aiutano a capire perché queste regole siano necessarie. Il primo riguarda FlixBus, che si presentava sul proprio sito web come “il mezzo di trasporto più ecologico” e offriva ai clienti la possibilità di viaggiare “a impatto zero”. Tuttavia, queste affermazioni non erano supportate da dati concreti né spiegazioni trasparenti su come funzionasse il sistema di compensazione. Dopo la denuncia di un’associazione per i diritti dei consumatori e l’intervento del tribunale tedesco, FlixBus è stata costretta a rimuovere quelle affermazioni.
Il secondo caso riguarda Adidas, sanzionata in Germania per pubblicità ingannevole. Slogan come “End plastic waste” e “more sustainable” sono stati giudicati troppo vaghi, privi di un reale fondamento e potenzialmente fuorvianti. Anche l’affermazione “saremo climaticamente neutrali entro il 2050” è stata contestata, in quanto priva di un piano concreto e verificabile. Secondo il tribunale, l’azienda avrebbe dovuto spiegare chiaramente cosa significasse questa espressione nel contesto della sua comunicazione e illustrare come intendeva raggiungere l’obiettivo, specificando anche l’eventuale ricorso a misure di compensazione del carbonio. In assenza di informazioni trasparenti sulle strategie adottate, tali dichiarazioni sono state ritenute ingannevoli.
Questi casi dimostrano come il rischio legale per le aziende sia reale e crescente: oggi, chi comunica senza prove rischia multe, danni reputazionali e la perdita di fiducia da parte di clienti e partner.
Come si comunica la sostenibilità oltre il greenwashing
Le nuove normative europee non intendono penalizzare la comunicazione ambientale, ma riportarla su un piano di rigore e credibilità. Una logica che vale anche per le tematiche sociali, dove i confini tra impegno reale e social washing sono spesso ancora più difficili da tracciare. Una comunicazione sostenibile credibile oggi deve tenere conto di alcuni principi fondamentali:
- Misurare l’impatto ambientale in modo serio e trasparente, utilizzando dati chiari, comparabili e aggiornati. Un compito tutt’altro che banale: gli strumenti di misurazione non sono sempre uniformi e un’interpretazione può variare.
- Agire per ridurre l’impatto in modo misurabile e continuo. Comunicare la sostenibilità significa mostrare cosa si è già fatto. Serve evidenza di un percorso: obiettivi precisi, indicatori di performance, miglioramenti concreti.
- Comunicare i risultati concreti. È importante che la comunicazione sia sempre basata sui fatti, numeri e risultati reali (anche quando non sono eccezionali).
- Raccontare anche ciò che non funziona. Una comunicazione davvero autentica non si limita a celebrare i traguardi raggiunti. È altrettanto importante – e apprezzato – condividere criticità, le difficoltà, gli obiettivi mancati.
- Evitare parzialità. Comunicare solo interventi marginali può essere fuorviante se non sono rilevanti rispetto al totale dell’impatto aziendale.
- Usare un linguaggio chiaro e accessibile. Il linguaggio deve essere comprensibile a diversi pubblici, dai cittadini ai clienti, fino agli stakeholder più esperti senza rinunciare al rigore.
La verità come leva del cambiamento
Il greenwashing rappresenta una sfida seria, ma può essere contrastato attraverso una comunicazione trasparente, completa e responsabile. Una comunicazione chiara ed efficace è uno strumento fondamentale per raccontare in modo onesto il proprio impatto ambientale e i progressi realizzati. Solo così si costruisce fiducia, si alimenta un dibattito pubblico più consapevole e si favoriscono scelte più informate da parte di tutti gli attori coinvolti, dalle istituzioni alle persone. La buona comunicazione ambientale non è un’aggiunta accessoria, ma una componente essenziale della sostenibilità stessa.
Comunicare il giusto, comunicare meglio
In un contesto in cui il greenwashing è sempre più sotto i riflettori, è fondamentale trovare un equilibrio tra il comunicare in modo scorretto e il non comunicare affatto. L’errore opposto al greenwashing è infatti il greenhushing, ovvero la scelta di non divulgare i propri sforzi sostenibili per timore di critiche o fraintendimenti. Ma anche il greenhushing rappresenta una forma di non trasparenza, che rischia di indebolire la credibilità e rallentare i progressi verso la sostenibilità. Perché oggi più che mai, non basta sembrare sostenibili. Bisogna esserlo. E dimostrarlo. Combattere il greenwashing significa abbandonare il marketing ingannevole e concentrarsi su un impegno concreto, misurabile e verificabile verso l’ambiente. Comunicare in modo corretto la sostenibilità non è un’opzione, ma una responsabilità che rafforza la fiducia e rende visibile il valore reale del proprio operato.
Francesco Pogliano