di Luca Valpreda

Uno vale uno. Se c’è un luogo dove questa affermazione vale davvero è un luogo lontano dai partiti ma non  dalla politica della polis. E’ la Banca del Tempo, un’organizzazione del tutto volontaria dove ognuno può mettere a disposizione quello che sa fare e ottenere in cambio quello di cui ha bisogno. L’unità di misura è il tempo dove un’ora vale un’ora per tutti, a prescindere dall’ipotetico prezzo di mercato della prestazione messa in campo. Un’ora di ripetizione di matematica, di yoga, di potatura, di consulenza fiscale, di accompagnamento anziani… tutto vale un’ora.

Per capire potenzialità e diffusione di questa forma di “democrazia assoluta”, abbiamo incontrato Maria Luisa Petrucci, presidente dell’Associazione Nazionale Banche del Tempo.

Ci può raccontare come e quando sono nate le Banche del Tempo in Italia?
La prima sperimentazione in Italia è stata a Parma nei primi anni Novanta nell’ambito del sindacato pensionati. L’iniziativa è partita da una donna – e non è un caso perché le donne sono state le protagoniste delle Banche del Tempo! – incuriosita da esperienze estere e stimolata dai suoi interlocutori, pensionati sì, ma ancora del tutto attivi e con il forte desiderio di fare.
Ma il progetto che ha dato l’avvio a tutta la rete è stato quello della Banca del Tempo di Sant’Arcangelo di Romagna. Siamo nel 1995 e anche qui tutto è partito da un gruppo di donne, sindaco e amministratrici del Comune, come risposta alle loro riflessioni su come conciliare al meglio famiglia e lavoro. Hanno così cominciato a scambiare tra di loro quelli che potremmo chiamare “favori”, estendendoli prima a colleghi e amici e ben presto a tutta Sant’Arcangelo. Il successo di Sant’Arcangelo ha rappresentato uno stimolo potente per analoghi progetti: se nel 1995 le Banche del Tempo sono cinque, l’anno dopo sono già una settantina e oggi quasi cinquecento, con circa trentamila iscritti.

Una bella crescita, senz’altro. Qual è il segreto del loro successo?
E’ un’esperienza del tutto laica che stabilisce un equilibrio di fatto tra il dare e l’avere, con la persona al centro. Il tempo fa parte di ognuno di noi, ciascuno può darlo, ciascuno può riceverlo. Se vogliamo è una sorta di democrazia assoluta: non ci sono gerarchie, non ci sono appartenenze, non ci sono credi. Il tempo è uguale per tutti. Un’ora di lezione di un professore universitario vale un’ora di rammendo. Questo è l’elemento chiave e, se vogliamo, fortemente originale della Banca del Tempo. Se ci pensiamo bene si tratta di un valore antico, riconducibile alla solidarietà in campagna o tra vicini di casa. E non è un caso che i successi maggiori si sono registrati in quei territori in cui da tempo la cooperazione è più radicata.

Siete presenti in tutta Italia?
Sì, anche se la densità maggiore è nel centro nord. Stiamo lavorando per crescere al sud: per esempio in Sicilia le Banche del Tempo erano solo due, ma grazie alla nostra spinta sono ora venti. Tenga anche conto che l’Associazione è nata solo cinque anni fa.

E’ difficile realizzare una Banca del Tempo?
E’ un’operazione che si basa completamente sul volontariato, quindi sconta le tipiche difficoltà di questa modalità.  Noi, come associazione, forniamo corsi di formazione specifici per chi intende avviarne una. Ma è chiaro che ci si scontra presto con i problemi concreti, perché serve una sede, le linee telefoniche, gli strumenti informatici di base: sono costi da affrontare e non sempre è facile reperire le risorse necessarie.

Ci sono sponsor che sostengono le Banche del Tempo?
Se intende sponsor privati, la risposta è no. Ci sono però Banche del Tempo che nascono nell’alveo di associazioni già esistenti, o per il tramite delle amministrazioni pubbliche. In questo caso la sede e gli strumenti di base possono essere condivisi, e questa disponibilità crea la leva necessaria per far partire la Banca. Ricordo che l’articolo 27 delle legge 53 dell’8 marzo 2000 sollecita le amministrazioni a promuoverle, a favorire l’utilizzo di locali e di servizi comuni. Come detto, non abbiamo sponsor privati. Quando è nata l’Associazione ci avevamo pensato, ma non abbiamo perseguito con convinzione questa strada. Forse non è nella nostra cultura: ci servirebbero professionisti in grado di farci conoscere nelle aziende private per portare avanti questa possibilità.

Però siete conosciuti, mi pare…
E’ vero che i media ci vogliono bene. I grandi quotidiani e le reti radiotelevisive nazionali sono incuriositi e ci danno spazio, ma scontiamo un po’ la mancanza di professionisti della comunicazione al nostro interno. Sul web siamo presenti: abbiamo il sito dell’Associazione e le Banche del Tempo sul territorio hanno anch’esse i propri siti e utilizzano Facebook.

A proposito di web e social media, si sente parlare di Banche del Tempo online. E’ una nuova frontiera che si apre?
Senza dubbio il web è un formidabile strumento di informazione e sotto questo aspetto è fondamentale ma solo se si limita a tale modalità, altrimenti ridurrebbe una banca del tempo ad una specie di servizio di Pagine Gialle. Siamo, quindi, contrari alla virtualizzazione delle Banche del Tempo, perché svilisce il concetto che sta al centro della nostra iniziativa, che è la relazione tra le persone. Nelle nostre sedi ci si conosce direttamente. I tempi e i modi della prestazione vengono concordati tra chi la fornisce e chi ne usufruisce. Deve poter scattare la conoscenza diretta, l’empatia: solo così nasce una comunità che si conosce, che condivide progetti, che ha fiducia reciproca. Tenga conto che non siamo un ufficio di collocamento, né sosteniamo attività che possano configurarsi  come lavori professionali duraturi: non posso, per esempio, pretendere di avere sempre la stessa baby sitter che venga con continuità a casa mia. Lo scopo delle Banche del Tempo è quello dell’utilità, del sollievo, del piccolo risparmio.

Capisco. Le chiedo allora se la crisi economica che stiamo vivendo influenza la partecipazione delle persone.
Le Banche del Tempo rappresentano una formula in cui i cittadini si riconoscono, si incontrano e sentono di poter diventare di nuovo protagonisti. Perché non solo la Banca è un luogo in cui si scambiano favori, ma è anche un luogo dove è possibile aprire delle relazioni e dare quindi vita a una comunità.

La crisi influenza forse la composizione, diciamo demografica, dei partecipanti?
Certo la maggioranza di chi si iscrive è ancora costituita da pensionati, oggi sempre più attivi e partecipi, anche dopo gli ottant’anni. Ma la verità è che solo i ‘fortunati’ di questi tempi riescono ad andare in pensione. Oggi ci sono molte persone ancora giovani che perdono il posto di lavoro. E trovano nella Banche del Tempo un’occasione per avere un doppio sollievo. Da una parte economico perché, tramite lo scambio, ci si avvale di servizi per i quali non si avrebbe sufficiente disponibilità. Dall’altra psicologico: non ci si sente più inutili, perché il proprio patrimonio di conoscenze può essere messo a disposizione degli altri. Ecco, questo aspetto sta modificando l’età media, ringiovanendola.
Un altro dato che sta cambiando è quello di genere. Come le dicevo all’inizio, il nostro mondo all’inizio era un mondo di donne, forse perché più propense rispetto agli uomini a dedicare il proprio tempo agli altri. Quindici anni fa oltre il novanta per cento di chi operava all’interno delle nostre Banche era donna. Oggi invece sempre più uomini si iscrivono e la loro percentuale non è più residuale, ma si avvicina al quaranta per cento.

E i giovanissimi?
Abbiamo avuto esperienze di Banche del Tempo all’interno delle Università. Gli universitari sono però un’utenza di per sé complessa, perché gli anni passano, si laureano, trovano un lavoro (non tutti, sfortunatamente) e ci si perde un po’ per strada. Però i ragazzi sono affascinati da questa modalità della relazione e della reciprocità, diversa dal volontariato che invece è a senso unico. L’interesse dei ragazzi è anche testimoniato dal numero in aumento di tesi di laurea dedicate al tema delle Banche del Tempo.

C’è sensibilità verso i temi ambientali?
Sì, è un interesse che cresce. Le porto come esempio gli “orti sinergici”, un’idea portata avanti da alcune delle nostre Banche, tra cui quella del Valpellice. Si tratta di coltivazioni tra loro complementari dove concimi e minerali provengono dalla sinergia tra le diverse specie vegetali piantate nello stesso orto. Una sorta di… solidarietà  floristica.

Concludiamo con un appuntamento?
Sì, a Torino il prossimo 21 settembre verrà organizzata la giornata nazionale delle Banche del tempo. Nell’occasione vi sarà anche ‘Banchitempo’, il mercatino dei manufatti delle nostre Banche. Un’occasione da non perdere per chi vuole conoscere da vicino questo nostro mondo.

Arrivederci a Torino e grazie per il tempo che ci ha dedicato.
Grazie a lei. Come vede anche noi abbiamo fatto un baratto sulla base del tempo. Io le ho dato le informazioni che mi ha chiesto e lei pubblicherà un articolo che aiuterà a farci conoscere. Funziona, no?