Stephen J. Gould (biologo, zoologo, paleontologo e storico della scienza), della scomparsa delle specie si è sempre servita, e con successo, dando esempio chance insperate ai mammiferi. Il 15 marzo scorso s’è svolto su Ted.com uno straordinario dibattito – leggi: pubblico, aperto e gratuito – sulla “resurrection ecology” che si occupa di “de-extinction”, un nuovo campo di studi dove si muovono i “synthetic biologists”. Tradotto: nella biologia tradizionale ha conquistato spazio un nuovo campo di studi (la biologia artificiale) che pretende di “de-estinguere” specie sparite dalla faccia del Pianeta, cioè di clonarne esemplari ibridi per recuperare popolazioni perdute, ad esempio di Mammut siberiani o di tigri marsupiali (Thylacinus Cynochephalus). La resurrezione in provetta è in prima pagina sul National Geographic di questo mese. Il talk su Ted.com ha però un plus rispetto al National Geographic, e cioè la sua totale accessibilità a qualunque utente della rete voglia capire che cosa stia accadendo al regno animale. Perché la motivazione esplicita di molti esperti di de-estinzione è questa: la conservazione, cioè il mantenimento e la protezione della biodiversità, dovrebbe avvalersi di provette e manipolazioni di DNA. Dove stanno andando a finire gli animali del mondo? Questo è un interrogativo che non può essere eluso dal dibattito sull’importanza della divulgazione scientifica nella costruzione di una società sostenibile e responsabile. E neppure tagliato fuori da un sano giornalismo ambientale. Mettendo da parte le obiezioni etiche e filosofiche (che per la verità hanno poco spazio anche nel pezzo del NG firmato dal supercomunicatore Carl Zimmer), chiediamoci: stiamo davvero parlando di conservazione? L’efficace sintesi del dibattito disponibile on line via Scientific American mostra intanto che la disponibilità tecnologica di manipolazione del DNA ci consente operazioni sulle specie animali molto più sofisticate rispetto alle conoscenze attualmente disponibili sui rapporti ecosistemici. In altre parole, ignoriamo quale potrebbe essere la risposta adattativa di un animale ibrido, il suo inserimento in un ecosistema radicalmente mutato rispetto al passato, la sua interazione con gli altri animali. Questo punto è stato chiarito da David Ehrenfeld della Rutgers University: “Un gene non ti dice come leggerlo e come fare un organismo. Il codice genetico è più simile ad un database che ad un manuale di istruzioni”. Ciò significa che anche la migliore trascrizione genetica “non fornisce il codice dettagliato per costruire una versione 2.0 di un organismo estinto”. Conclude Ehrenfeld: “Tutte le parole dell’Amleto di Shakespeare si trovano sul vocabolario, ma se scannerizzo il vocabolario non ne viene fuori l’Amleto”. Se guardiamo alla conservazione, battere la strada della de-estinzione potrebbe essere una pericolosa scappatoia, che allontana dal punto chiave, e cioè la protezione degli ecosistemi e la perdita di habitat. Oggi c’è un dibattito aperto sulla efficacia dei parchi nazionali, sui processi di inbreeding (incrocio) in alcune aree particolarmente sensibili (come NgoroNgoro in Tanzania per il leone, Panthera Leo, solo per fare un esempio noto), sulla soglia e il debito di estinzione. Questioni che implicano il più roccioso tabù del nostro tempo, e cioè l’incremento demografico fuori controllo di Homo Sapiens. In altre parole, è probabile che la clonazione dimostri lo strapotere dell’uomo sui vincoli più intimi della vita e che proprio in questa manifestazione di forza risieda il suo limite. di Elisabetta Corrà Green Consultant Free Lance – Climate Change, Blue Economy and Conservation]]>