consapevoli, attenti alla salute e alla sostenibilità, rappresentano il 26{f94e4705dd4b92c5eea9efac2f517841c0e94ef186bd3a34efec40b3a1787622} del campione. Questi privilegiano i prodotti biologici, quelli con marchio DOP, IGP, DOCG, i prodotti locali e quelli del commercio equo solidale. Gli sbrigativi, pari al 19{f94e4705dd4b92c5eea9efac2f517841c0e94ef186bd3a34efec40b3a1787622} del campione, sono coloro che danno la precedenza alla praticità nella preparazione, quindi consumano frequentemente prodotti confezionati, surgelati, precotti, mangiano spesso snacks e merendine ed optano per i prodotti a marchio del distributore. Politeisti alimentari (il 24{f94e4705dd4b92c5eea9efac2f517841c0e94ef186bd3a34efec40b3a1787622} degli intervistati) sono coloro che consumano di frequente prodotti di qualità (cibi biologici, prodotti locali con marchio DOP, IGP, DOCG) ma che, con la stessa frequenza, dichiarano di consumare cibi già pronti, alimenti confezionati, snacks ecc. Gli agnostici alimentari, la categoria più consistente (31{f94e4705dd4b92c5eea9efac2f517841c0e94ef186bd3a34efec40b3a1787622} del campione), è rappresentata da coloro che fanno un uso molto misurato dei prodotti inclusi in entrambe le categorie, sia quella degli alimenti qualitativamente superiori (ma spesso anche nel prezzo) che del cosiddetto “junk-food”. Altro fattore fondamentale che influenza la scelta dei prodotti e quindi anche l’adozione degli stili alimentari, è il grado di istruzione. Ad un alto grado di istruzione corrisponde quasi sempre una maggiore consapevolezza: fra i “consapevoli” il 33{f94e4705dd4b92c5eea9efac2f517841c0e94ef186bd3a34efec40b3a1787622} è infatti laureato. Il grado di istruzione risulta discriminante anche nel determinare il grado di conoscenza delle politiche agricole adottate dall’Unione. Un dato di colore, ma non per questo meno preoccupante, è il seguente: il 23{f94e4705dd4b92c5eea9efac2f517841c0e94ef186bd3a34efec40b3a1787622} degli intervistati afferma di prendere informazioni e suggerimenti alimentari direttamente dai social, prima fonte, e quanto mai attiva in questo periodo, di fake news. Ma il cibo di cui tanto ci preoccupiamo è sostenibile? Parrebbe di sì. Secondo quanto emerge dallo studio Fixing Food, commissionato da Barilla ed elaborato dall’Economist Intelligence Unit l’Italia è al sesto posto nel mondo per la sostenibilità del suo sistema agroalimentare, dopo Francia, Giappone, Canada, Germania e Regno Unito. Posizione guadagnata grazie alle politiche italiane volte al contrasto dello spreco alimentare, al consumo sostenibile di acqua e al ridotto impiego di fertilizzanti e pesticidi. Nello specifico, il rapporto illustra gli obiettivi fondamentali per affrontare la sfida. Al centro, il Food Sustainability Index, ovvero un indice che prende in esame 25 Paesi del mondo (quelli del G20 più cinque appartenenti alle aree non rappresentate dal Forum internazionale: Nigeria, Etiopia, Colombia, Emirati Arabi e Israele), mettendone a confronto i loro sistemi di produzione alimentare. Secondo il rapporto però, è ancora necessario uno sfruttamento meno intensivo della terra coltivabile, in particolare attraverso il coinvolgimento della ricerca scientifica e l’applicazione delle più moderne tecnologie in agricoltura: centraline GPS e droni per la raccolta dati, agricoltura verticale, studio degli OGM. Non solo. Un’altra importante opportunità da cogliere è quella di investire sempre maggiori risorse in comunicazione e campagne pubblicitarie per sensibilizzare i consumatori verso prodotti di sempre maggiore qualità. Insomma, una strada già battuta con buoni risultati, ma ancora lunga da percorrere, soprattutto per un Paese che del cibo di alta qualità ha fatto il proprio biglietto da visita in tutto il mondo.]]>