Don’t look up e la crisi climatica: 3 spunti interessanti e 2 scivoloni

3 Gen, 2022 | Analisi e commenti

Il film ha il merito di aver portato alla ribalta l’argomento. Lo fa discretamente bene, anche se su un paio di aspetti inciampa

La commedia satirica Don’t look up ci obbliga a porci una semplice ma terrorizzante domanda: come reagiremmo di fronte alla notizia della nostra estinzione? La risposta che dà il regista Adam McKay non è rassicurante: probabilmente, troppo impegnati a dividerci in fazioni e troppo occupati nel tentativo di ricavare un profitto anche dalla catastrofe, non faremmo niente per impedire il disastro. Nonostante alcuni abbiano visto nella cometa del film una rappresentazione della pandemia da Covid-19, Don’t look up è una metafora di come la crisi climatica è stata gestita negli ultimi anni per diretta ammissione di regista e cast (e non è un caso che il protagonista sia proprio Leonardo Di Caprio, promotore da sempre della causa ambientale). E oltre alla sua gestione, racconta anche alcuni aspetti fondamentali della comunicazione del cambiamento climatico.

Ma lo fa bene o male? Coglie il punto oppure banalizza? Dice qualcosa di vero sulla comunicazione della crisi climatica?

La comunicazione della crisi climatica: 3 aspetti su cui Don’t look up fa centro

  1. Gli scienziati riescono a farsi capire?

Uno degli argomenti caldi che Don’t look up tocca è l’incapacità comunicativa degli esperti. Il Professor Mindy interpretato da Di Caprio, con il respiro affannoso e lo sguardo stralunato, non fa altro che snocciolare dati e matematica. Il risultato? Non solo non viene compreso ma suscita nei suoi ascoltatori noia e anche un po’ di fastidio, allontanandoli – paradossalmente – ancora di più dall’argomento. D’altro canto, gli appelli eccessivamente emotivi della dottoranda impersonata da Lawrence – che ricordano un po’ le parole di Greta Thunberg I want you to panic – vengono vissuti come un attacco di isterismo ingiustificato che scatena solo ilarità. E non è un caso se più volte durante il film ai due venga consigliato di seguire un media training preparatorio per parlare al pubblico.

Anche se in modo esasperato, il film dice qualcosa di vero: gli scienziati non riescono a superare la cerchia degli addetti ai lavori ed entrare in connessione con il grande pubblico. E la causa non può essere sempre e solo l’ignoranza e la mancanza di nozioni degli ascoltatori, ma sta anche nell’incapacità da parte di chi parla di instaurare un dialogo autentico. Come possiamo capirci se non comunichiamo nella stessa lingua? Non è cosa da poco, però, semplificare senza cadere nella trappola della banalizzazione. È proprio quello che succede all’astronomo quando viene riabilitato ed entra a far parte del “circo” (è il caso di dirlo) mediatico. Memore della precedente esperienza, adotta i metodi comunicativi del talk e dell’infotainment, svilendo il proprio messaggio. Un cul-de-sac in cui abbiamo visto cadere molti esperti, anche in tempi recenti.

  1. Che noia la fine del mondo

Quando si guarda il film, non si può non provare un senso di profonda frustrazione assistendo all’inesistente reazione delle persone di fronte alla notizia della propria prossima estinzione. E anche a quella dei media: il giornale che copre la storia rinuncia ben presto a sostenerla dopo aver visto che vale pochi like e interazioni sui social. Ma non è un po’ quello che succede anche nella nostra realtà non cinematografica? È da anni che la comunità scientifica ci ripete che ci stiamo avvicinando sempre di più a un punto di non ritorno. E le prove ormai sono manifeste. Gli eventi climatici estremi sono sempre più frequenti, gran parte del mondo lotta contro siccità e desertificazione, il buco nell’ozono ormai è un cratere e i ghiacciai si sciolgono.

Certo, l’opinione pubblica è sempre più attenta (per fortuna). Ma dov’è la paura per quello che sta succedendo, la consapevolezza che bisogna agire ora? Dov’è la mobilitazione di massa che potrebbe portare davvero ad azioni di impatto e a cambiamenti sostanziali? Nonostante i flash mob, la rinascita dell’attivismo, le manifestazioni giovanili, anche la Cop26 non è arrivata a un accordo dirimente. E allora dobbiamo guardare direttamente l’elefante nella stanza e ammettere che la narrazione della crisi climatica finora è stata debole. Non coinvolge, non appassiona, non è sentita. Il cambiamento climatico è ancora vissuto come un problema distante, nel tempo e nello spazio. Qualcosa che in fin dei conti non ci riguarda. Anche se poi, lo sappiamo, non è così.

  1. I pro, i contro, la polarizzazione e i complottismi

Don’t look up centra il bersaglio anche su un altro aspetto che chi si occupa di comunicazione non deve sottovalutare quando fa i conti con la crisi climatica: si tratta di un tema profondamente divisivo. Il film mette in scena dinamiche a cui assistiamo giornalmente, come lo scontro feroce tra il fronte dei pro e quello dei contro, i complottismi che nascono sul fertile terreno della polarizzazione, una opinione pubblica immobilizzata dalle sue tensioni interne. Tra chi dice Just look up e chi grida Don’t look up, non c’è mai comunicazione, compromesso, volontà di capire l’altro ma solo presa di posizione e disprezzo per la parte avversa.

Perché i temi ambientali e climatici creano tanto conflitto? Perché riguardano valori come la sicurezza, la salute, l’etica. Smuovono non solo l’intelletto, ma anche la pancia. Perché circolano tante teorie del complotto e della cospirazione intorno al cambiamento climatico? Perché è un tema complesso e contradditorio, come spesso è la sua comunicazione (e qui torniamo ai primi due punti) e le sue conseguenze sono difficili da comprendere nella loro vastità e indeterminatezza (vedi sotto).

Bene ma non benissimo, 2 aspetti della crisi climatica che Don’t look up trascura

  1. La crisi climatica NON è come una cometa

Il primo aspetto problematico del film, soprattutto dal punto di vista comunicativo, è la scelta di una cometa come metafora della crisi climatica. Perché non funziona? Per più motivi. Primo, la cometa è un fenomeno naturale che non dipende dalle azioni umane. Sappiamo benissimo invece che il cambiamento climatico è legato direttamente alla nostra attività sul Pianeta.

Secondo, un disastro come quello raccontato dal film è percepibile e misurabile in maniera molto evidente: la cometa si può vedere e soprattutto si può calcolare quando e dove impatterà la Terra. Non si può dire lo stesso del cambiamento climatico, un processo graduale che va avanti da anni ma il cui effetto non è circoscrivile in maniera precisa né dal punto di vista temporale né da quello spaziale. Né, ad oggi, possiamo essere certi di quali saranno esattamente le sue conseguenze, anche se possiamo immaginare che il mondo non sarà più quello che è oggi.

Infine, la soluzione per evitare il disastro naturale in Don’t look up è abbastanza semplice (anche se alla fine naufraga), ossia usare la tecnologia per far esplodere la cometa ed evitare che colpisca il Pianeta. “Risolvere” la crisi climatica invece è molto più complesso perché dovremmo passare attraverso un cambiamento radicale del nostro modo di vivere (e soprattutto produrre) e farlo in tempi anche abbastanza rapidi. Not so easy.

  1. Troppo facile capire qual è la parte giusta

Premesso che il film è una commedia satirica, genere che trae la sua forza proprio dall’esasperato uso del grottesco e dell’assurdo, la rappresentazione macchiettistica che fa delle dinamiche sociali, della politica, dei media e dell’opinione pubblica semplifica troppo la questione della crisi climatica.

In Don’t look up le persone sono prima insensatamente menefreghiste, anche quando è a rischio la loro incolumità e poi improvvisamente tutte coinvolte nel fronte dei pro oppure in quello dei contro. E quello degli indecisi? Nella realtà, le persone che non sanno bene cosa pensare del cambiamento climatico o che magari ritengono che non le riguardi direttamente sono molte di più di chi si schiera a favore o contro l’argomento. E questo aspetto non va mai sottovalutato, soprattutto dal punto di vista della comunicazione.

Infine, una delle insidie del film è farci sentire inevitabilmente superiori a chi crede nel mantra Don’t look up. Come si fa a essere così boccaloni e manipolati? Come si può ignorare una cometa diretta verso la Terra? Di sicuro, se capitasse a noi, sapremmo benissimo dove sta la verità e da quale parte schierarci. O no?

La trama (per chi non l’ha visto e non teme gli spoiler)

Due astronomi (Di Caprio e Lawrence) scoprono che nel giro di sei mesi una cometa di dieci chilometri – una planet killer – colpirà la Terra, causando disastri naturali che porteranno all’estinzione della specie umana. I protagonisti cercano di diffondere la consapevolezza dell’imminente catastrofe ma inizialmente non sono ascoltati dal governo, ricevono qualche tiepida attenzione dai media che si trasforma ben presto in un boomerang di impopolarità e diventano bersaglio di un’opinione pubblica più interessata alle vicende amorose di rapper e cantanti che alla propria – certa – estinzione. Saranno ascoltati solo in un secondo momento, quando la Presidente degli Stati Uniti (Streep), un mix tra Donald Trump e Hillary Clinton, che inizialmente aveva accolto con totale disinteresse e noia la notizia, userà la cometa per distrarre l’attenzione degli elettori dall’ennesimo sex gate e proporsi come eroina dell’umanità, impegnandosi a bombardare il corpo celeste e disintegrarlo mentre è ancora nello spazio.

Colpo di scena

La scienza è finalmente ascoltata, Di Caprio recupera credibilità e guadagna popolarità, la distruzione della cometa è imminente. Tutto bene quel che finisce bene? In realtà no. All’ultimo istante, la missione di salvataggio è annullata. Il miliardario Isherwell (Rylance) – una parodia non troppo mascherata di Jobs, Musk e Bezos – nonché maggior finanziatore del partito della Presidente, blocca il tutto perché il corpo celeste è ricco di materiali preziosissimi (materia prima inestimabile per la sua multinazionale di cellulari). Propone quindi un piano alternativo, che viene messo in atto nonostante la comunità scientifica ne disconosca l’efficacia, Di Caprio compreso che per questo viene “fatto fuori” e perde il suo stato di grazia.

Just look up vs Don’t look up

È qui che nasce lo slogan che dà il titolo al film. La cometa, sempre più vicina, è finalmente visibile a occhio nudo. Gli astronomi-eroi, perciò, rafforzano la loro controffensiva e invitano la cittadinanza a guardare in alto (Just look up!). Il governo risponde aizzando le folle e invitando a non farsi spaventare e soprattutto a non guardare in alto. Il disastro è servito. La popolazione si divide in due fazioni che si urlano addosso ma che ovviamente non comunicano tra loro e il piano del governo, pilotato da chi vuole solo guadagnare, continua indisturbato. E fallisce. Mentre l’umanità viene spazzata via, i potenti della Terra si salvano grazie a un piano B riservato solo a loro: una navetta spaziale che li traghetterà verso un nuovo mondo.

 Micol Burighel

 

Come comunicare temi complessi come quelli ambientali? Dà una risposta a questa domanda (e a tante altre) il decalogo della comunicazione ambientale di Amapola, una ideale cassetta degli attrezzi che propone buone pratiche,  strategie e strumenti concreti per comunicare in modo efficace e incisivo. Liberamente scaricabile qui.