Eric Alterman

Gli ultimi giorni di agosto sono il periodo in cui gli americani prendono di solito le loro relativamente misere ferie. Rispetto ai lavoratori di altre democrazie, che si godono circa sei settimane di vacanze pagate, gli americani ne hanno solo due a disposizione, una situazione che solo di rado emerge nei media del Paese. E poiché alla vigilia delle vacanze i media mainstream sono alle prese con le questioni Egitto, Siria, Edward Snowden, Chelsea Manning e Obamacare, la notizia che la Reuters e il New York Times siano entrati in possesso per vie traverse del Quinto Assessment Report dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (I.P.C.C.) passerà quasi certamente inosservata.

L’I.P.C.C., un collegio internazionale di scienziati, ha stabilito “quasi con certezza” che, per citare Justin Gillis del New York Times, “le attività umane sono all’origine della maggior parte degli aumenti di temperatura degli ultimi decenni”, e avverte che il livello dei mari potrebbe salire di un metro entro la fine del secolo, se le emissioni continueranno agli attuali ,incontrollati ritmi”.

Come osserva Gillis, già il rapporto I.P.C.C. del 2007 presentò prove “inequivocabili” del riscaldamento. Il nuovo documento reitera con forza la valutazione delle nostre responsabilità, affermando che i cambiamenti climatici sono, con una probabilità del 95 per cento, il risultato diretto delle attività umane.

Come abbiamo già sentito tante volte, i probabili effetti consisteranno “nello scioglimento diffuso del ghiaccio, in ondate estreme di calore, in difficoltà nelle coltivazioni e in grandissimi cambiamenti nella vita delle piante e degli animali, con molte specie condannate all’estinzione”. E’ importante notare che i rapporti tendono ad adottare una spiegazione più moderata, meno allarmistica rispetto all’attuale consapevolezza degli scienziati. Gillis cita Michael E. Mann, un esperto della Pennsylvania State University, che afferma che il rapporto “ancora una volta sottovaluta la portata dei probabili cambiamenti”. Christopher B. Field, un ricercatore al Carnegie Institution for Science, aggiunge che “l’I.P.C.C. è per tradizione un ente molto conservatore”.

La minaccia che deriva da questi sviluppi non ha precedenti nella storia umana. Gillis osserva che con ogni probabilità il cambiamento climatico metterà in pericolo “molte grandi città del mondo, tra cui New York, Londra, Shanghai, Venezia, Sydney, Miami; e New Orleans.”Nella sola Florida, più di 2,4 milioni di persone abitano a meno di 120 cm sopra il livello dell’alta marea. E c’è da scommettere che a dispetto di quello che si legge nei media mainstream, il settore assicurativo sta seguendo con molta attenzione quello che dicono gli scienziati. Come spiega Maggie Koerth-Baker in un articolo del The New York Times Magazine: “Negare il cambiamento climatico non è soltanto da sciocchi. E’ una sciagura per il business”.

Certo, con tante incognite, nessuno è in grado di predire con certezza il futuro, Ma secondo una relazione curata daAlok Jha del Guardian per il vertice sul clima organizzato a Copenaghen nel 2009 — e come io stesso osservai nel mio libro del 2011, Kabuki Democracy — se le attuali tendenze continueranno, dovremo aspettarci che l’Amazzonia si trasformerà in deserto e prateria, mentre livelli atmosferici di CO2 sempre più alti faranno sì che gli oceani avranno un grado di acidità così alto da impedire la vita alle barriere coralline e a migliaia di altre forme di vita marina. Oltre 60 milioni di persone, soprattutto in Africa, sarebbero esposte a tassi più alti di malaria. I raccolti agricoli caleranno in tutto il mondo e mezzo miliardo di persone saranno a maggiore rischio di malnutrizione e fame.

Questo per quanto riguardo il breve termine. Tra qualche centinaio di anni, durante i quali i livelli del mare saliranno di 7 metri, i ghiacciai si saranno ritirati e le sorgenti di acqua fresca del mondo si ridurranno drasticamente. Fino a un terzo delle specie del mondo correrà probabilmente il rischio di estinzione poiché un incremento della temperatura di 2 gradi cambierà i loro habitat così velocemente che non avranno il tempo per adattarsi. Jha avverte che “se la temperatura dovesse salire di un altro grado ancora, il surriscaldamento globale potrebbe andare del tutto fuori controllo, rendendo vano ogni tentativo di mitigazione”. Potrebbero incendiarsi milioni di km2 di foresta amazzonica, sprigionando carbonio che aggraverebbe il surriscaldamento, forse di un altro grado e mezzo. Nell’Africa meridionale, in Australia e negli stati occidentali degli Usa, i deserti avanzeranno. Miliardi di persone si troveranno costrette a lasciare le loro terre alla ricerca di cibo e acqua sempre più scarsi. In Africa e nel bacino del Mediterraneo la disponibilità di acqua scenderà di circa il 30–50 per cento. Il Regno Unito sarà sconvolto da alluvioni invernali e siccità estiva. Il livello dei mari salirà per inghiottire le isole di minori dimensioni e le aree a basse altitudini come la Florida, New York e Londra. La Corrente del Golfo, che riscalda il Regno Unito tutto l’anno, diminuirà e i cambiamenti nei cicli meteorologici faranno alzare i livelli dei mari sulle coste Atlantiche.

Infine, se non cambiamo percorso, ci possiamo aspettare un aumento di 4 gradi nella temperatura media del pianeta. Jha spiega: “A questo punto, il permafrost dell’Artico entrerà in zona pericolo. Il metano e l’anidride carbonica attualmente contenuti nel suolo verranno emessi nell’atmosfera. Nell’Artico stesso, il ghiaccio sparirà per sempre, condannando all’estinzione gli orsi bianchi e altre specie locali che dipendono dalla presenza del ghiaccio. Lo scioglimento del ghiaccio dell’Antartide comporterebbe un ulteriore aumento di circa 5 metri del livello del mare, sommergendo molte isole, anche di grandi dimensioni. Italia, Spagna, Grecia e Turchia diventerebbero deserti e le temperature estive dell’Europa centrale salirebbero a quasi 50 gradi Celsius. Il clima estivo dell’Inghilterra meridionale arriverebbe a somigliare a quello attuale del Marocco meridionale”.

Tutto ciò considerato, perché il nostro sistema politico non solo sembra incapace di agire in modo efficace per rispondere a questa minaccia, ma addirittura pare che ne neghi l’effettiva esistenza? Ci possono essere diverse ragioni, ma io indicherei tra le più importanti le seguenti tre:

1. Quelli che traggono profitto dal sistema attuale – e che guadagnano miliardi di dollari sfruttando i carburanti fossili responsabili dei rovinosi gas di serra – hanno anche interesse a fare in modo che il pubblico non venga a conoscenza dei fatti scientifici e delle relative ripercussioni. Con i fratelli Koch in testa, dice The Guardian, “Diversi multimiliardari conservatori hanno utilizzato un canale clandestino di finanziamento per veicolare quasi 120 milioni di dollari a oltre 100 gruppi per suscitare dubbi sulla scienza relativa al cambiamento climatico”. E fanno donazioni sostanziali anche per sostenere le campagne di senatori e rappresentanti conservatori.

2. In modo irresponsabile, i media mainstream riservano agli scettici “non accreditati” del cambiamento climatico – spesso finanziati tramite canali simili a quello appena descritto – lo stesso rispetto accordato agli scienziati climatici che invece hanno i titoli e le esperienze per  sostenere e documentare i propri giudizi. Inoltre, molti meteorologi statunitensi senza particolari conoscenze della climatologia assumono il ruolo di “scettici sul cambiamento climatico” nei confronti del pubblico perché, secondo il meteorologo e scrittore Bob Henson, “Esiste qualche tensione tra elitismo e populismo. Vi sono dei meteorologi che pensano ‘Il fatto che io abbia una laurea solo di primo livello non significa che non sappia quello che sta accadendo’”.

3. Infine, c’e il vecchio problema della rana portata lentamente all’ebollizione: messa in una pentola di acqua fredda che poi viene riscaldata lentamente, la rana si renderà conto di stare per morire quando sarà già troppo tardi. Come osserva Paul Krugman, in realtà le rane sono troppo intelligenti per cascarci; gli uomini, invece, lo sono meno. Una crisi generatrice di titoli da prima pagina sarebbe in grado, nel bene e nel male, di scatenare una reazione politica nel nostro Paese. Ma, data la minima attenzione al tema da parte di Internet, dato l’attuale agenda politica dettata dalle esigenze delle cable-TV, e dato che i soldi sono il motore del nostro sistema elettorale, si interverrà solo quando la catastrofe ci sarà già addosso.

Che cosa si può fare?

Non ne ho la minima idea.

http://www.americanprogress.org/issues/media/news/2013/08/29/73195/the-mainstream-media-and-the-slowly-boiling-frog/