Non si vive di sole norme: per la transizione ecologica occorre scaldare i muscoli del dibattito pubblico
Partono i grandi investimenti del PNRR. Ma istituzioni e imprese sono allenate alla comunicazione con territori e comunità?
La transizione è qui: la metamorfosi è cominciata, i primi pezzi del domino iniziano a cadere. Ma attenzione: perché questo domino dia vita al disegno auspicato, è necessario che tutti i tasselli siano al posto giusto. E francamente, ho ancora qualche dubbio in merito: dubbi che riguardano soprattutto le opere pubbliche che si renderanno necessarie, la costruzione del consenso e i processi di comunicazione e dialogo con il territorio e le comunità.
Pannelli fotovoltaici e pale eoliche everywhere
Un esempio su tutti. Il PNRR investe molto – moltissimo – nelle energie rinnovabili. Il ministro Cingolani ha spiegato che nei prossimi nove anni in Italia si installeranno circa 70 Gigawatt di potenza essenzialmente da solare ed eolico. Numeri che disancorati dalla realtà raccontano poco o niente. Come ricorda Federico Fubini in un suo intervento sul Corriere della Sera – eloquentemente intitolato “Svolta ecologica (e silenzi)” (10 maggio, pagg. 1 e 30) – installare 70 Gigawatt di potenza da solare ed eolico significa coprire con pannelli fotovoltaici 200mila ettari di terre, ossia il 2% della superficie coltivata in Italia. Allo stesso tempo, le pale eoliche spunteranno ovunque, impattando in maniera significativa sul paesaggio e di conseguenza sul turismo.
Già su questo punto assistiamo a uno scontro burocratico/normativo: Cingolani vs Franceschini, ministero della transizione ecologica vs ministero dei beni e delle attività culturali. Nella situazione in cui ci troviamo oggi, qualsiasi nuova richiesta di impianti solari o eolici verrebbe bloccata per impatti paesaggistici: la transizione rischia così di arenarsi sugli scogli degli ostacoli normativi. Di qui la domanda di allargare le maglie della soprintendenza, condivisa a gran voce anche dalle più importanti associazioni ambientaliste italiane come WWF, Green Peace, Legambiente (qui la presa di posizione di Stefano Ciafani, presidente nazionale dell’associazione).
Le pressioni sono molte in questo senso e verosimilmente le norme saranno modificate per liberare e consentire la costruzione di impianti da energie rinnovabili. Non vorrei, però, che, caduto un primo muro burocratico e organizzativo, se ne innalzi un altro, molto più difficile da buttare giù: quello della contestazione e del rifiuto delle opere necessarie per la transizione.
L’interiorizzazione del cambiamento: abbiamo iniziato questo percorso?
Accanto alla partita degli equilibri burocratici e organizzativi, c’è n’è un’altra, enorme, per le imprese, ed è legata all’accettazione di queste opere e all’allenamento al dibattito pubblico. Il Paese non è preparato: negli ultimi anni si è incancrenito il rapporto tra l’opportunità di avanzare con opere pubbliche e la loro accettabilità. La storia recente ci dice che non solo si sono bloccati termovalorizzatori, discariche o centrali termoelettriche ma anche moltissimi impianti da energia rinnovabili. E questo è successo perché non si è investito minimamente nel consenso e nelle forme di ascolto e dialogo.
La transizione ecologica: il vero problema non sono le autorizzazioni ma la comunicazione
Come ricordavo in un precedente intervento (qui), i cambiamenti radicali richiesti dalla transizione ecologica comportano anche alti costi sociali, e questo non può essere ignorato. Perché i sacrifici richiesti siano accettati è necessario un ingente sforzo comunicativo. Che al momento non vedo.
Al di là della querelle tra i ministeri dell’ambiente e dei beni culturali, si pone un problema enorme sulla comunicazione dei committenti privati. Le imprese devono attivarsi e investire molto di più e molto più velocemente sulla comunicazione con i territori e le comunità. Ci deve essere comunicazione da parte delle istituzioni – questo aspetto ovviamente non può mancare – ma le imprese non possono pensare che la fatica – l’onere – di questo tipo di comunicazione possa essere assunta solo dal decisore politico, le cui dinamiche sappiamo essere condizionate da troppi fattori “ballerini”, a partire dalla permanent campaign che ha fatto esplodere la sindrome NIMTO (non nel mio mandato elettorale).
Pronti per questa partita?
Quella che stiamo vivendo è una grande opportunità di risorse per rilanciare il Paese e non può essere vista se non in maniera positiva. Ma la velocità e la quantità degli investimenti necessari possono trasformarla velocemente in un momento di crisi. Ci troviamo a dover fare tutto, e farlo in fretta, senza incidenti di percorso, perché dovremo rendicontare all’Europa: pena la perdita dei fondi.
La questione è semplice: va bene chiedere “maglie larghe” ai beni culturali ma chi ha proposto dei progetti per il PNRR (vedi l’investimento in impianti da energie rinnovabili) ha pensato a come attrezzarsi per l’accettabilità di queste opere? Perché ci sarà l’esigenza di avere delle task force dedicate alla comunicazione delle opportunità, della sicurezza e dei vantaggi della transizione ecologica, con tutti gli annessi e connessi. Ma anche in grado di portare avanti una comunicazione che sappia supportare e motivare il costo che queste opere richiederanno, come quello paesaggistico.
Il mondo delle imprese si sta preparando a supportare questi progetti dal punto di vista dell’accettazione e del dialogo con il territorio dopo che per anni si è fatto poco o nulla? Alle associazioni di categoria l’ardua sentenza.