Elena Rossi L’ispirazione viene dallo scarto. E’ così che funziona in RIup, la start up costituita da un team di creativi, desiderosi di distinguersi facendo qualcosa per l’ambiente. L’obiettivo di questo progetto imprenditoriale è ambizioso: suggerire un nuovo sistema produttivo per affrontare il problema ambientale, tramite il riuso di scarti industriali che non hanno una via di smaltimento. RIup raccoglie ciò che non può essere recuperato attraverso i tradizionali percorsi di riciclo, per dare vita a prodotti di design, in vendita online. Ci racconta questa bella storia di innovazione e sostenibilità, Silvia Dal Prato, ideatrice e CEO di RIup. Come nasce l’idea di RIup? RIup nasce nel 2014, dopo alcune esperienze fatte in città a fronte della crisi economica. Ho iniziato a interrogarmi su come creare nuove economie con quello che il nostro Paese e la nostra città [ndr. Faenza] già offrivano. Questa era la mission, come persona e come professionista in quanto architetto. Si è creato un gruppo appassionato alla mia idea e, iniziando per gioco, ci siamo trovati in questa seria avventura. Abbiamo iniziato a studiare il territorio e abbiamo visto che in realtà esistevano tante esperienze del riuso, ma erano solo esperienze spot, quasi scultoriche, che non raggiungevano il nostro obiettivo: creare nuove economie risolvendo un problema, quello ambientale. Abbiamo scoperto che tante aziende hanno scarti seriali che vanno bruciati, scarti che producono un forte danno ambientale e che in realtà contengono in sé elementi interessanti da poter utilizzare. Da questo è nata la provocazione: facciamo oggetti di design, intervenendo a livello ambientale. In sostanza vogliamo intervenire a grande scala per risolvere un problema ambientale esistente. Non seguiamo il processo già presente in tante esperienze: “voglio fare una sedia, cerco gli scarti per fare la sedia“. RIup capovolge il concetto esistente: analizza il problema ambientale, studia gli scarti emergenti nell’arco temporale e cerca di affrontare il problema con un nuovo oggetto, che contribuisca a diminuire lo scarto emergente. La vostra filosofia unisce il concetto di riuso a quello di design: sono davvero conciliabili questi due aspetti? E’ una sfida. Unire il design allo scarto emergente di un territorio è qualcosa di conciliabile se legato a un obiettivo di qualità e lavorando con designers capaci e sensibili alla tematica. I vostri prodotti nascono da scarti industriali che non hanno una via di smaltimento. Di che prodotti stiamo parlando e in che cosa vengono trasformati? Oggi il nostro main sponsor è Servizi Ospedalieri. La nostra prima collezione (Hos) è partita da un’analisi sui quantitativi di scarti di tessuti negli ospedali. Si tratta di tessuti che perdendo la loro sterilizzazione non possono più essere utilizzati e che, dunque, costituiscono un grosso danno ambientale, considerando che ne devono essere smaltite circa 90 tonnellate l’anno. Il problema era difficile: cosa fare con questi tessuti verdi? Come generare un design di qualità da questi tessuti? Un processo complicato che a seguito di molti studi ci ha permesso di arrivare alla collezione Hos. Oggi la collezione utilizza come linea conduttrice quella dei tessuti ospedalieri, integrando altri scarti seriali reperiti ed emergenti: sfridi ceramici, carta da parati, rulli di cartone precompresso. I vantaggi ambientali di una simile attività sono facilmente immaginabili, ma per rendere meglio l’idea del reale impatto può farci qualche esempio pratico? Il riutilizzo permette di diminuire lo scarto dell’azienda: tale scarto è un alto costo per l’azienda stessa e venendo questo bruciato assieme a tutti quegli elementi che non possono entrare nella raccolta differenziata, creano un danno grosso all’ambiente. E’ chiaro che RIup non risolve il problema, ma lo affronta. E’ chiaro che e’ necessaria una sensibilizzazione al tema. E’ chiaro che più persone comprano oggetti RIup e più materiali di scarto vengono utilizzati nel prodotto e meno inquinamento viene generato. E’ un processo lungo e sensibile. RIup è un’unica filiera di progettazione, produzione e vendita. Com’è organizzata la vostra attività? Il nostro team è composto da 3 futuri soci: io, Rohaya Seck e Francesco Benedetti. Inoltre, sono presenti diverse figure: chi segue la progettazione, chi la prototipazione, chi la produzione. Ci leghiamo solitamente a cooperative sociali. In questo modo contribuiamo ad aumentare i posti di lavoro per soggetti deboli della nostra società. Qual è l’impatto del vostro lavoro sui consumatori? Siamo davvero pronti a un cambio di mentalità e a scelte sostenibili? Questo non lo so. I consumatori richiedono un prodotto di qualità. La sensibilità al tema, in Italia, deve crescere ancora molto. E’ molto attiva in alcuni paesi soprattutto del nord Europa, ma qui siamo ancora indietro. Però noi ci crediamo e almeno tentiamo di lanciare la provocazione.]]>