Parità di genere, l’Italia fa male soprattutto sul fronte del lavoro

24 Mar, 2022 | Focus Italia

Tra stipendi più bassi, disuguaglianze nella suddivisione del lavoro domestico e soffitti di cristallo il cambiamento è ancora troppo lento

L’European Institute for Gender Equality posiziona l’Italia al quattordicesimo posto della sua classifica Gender Equality Index, con un punteggio di 63.8 punti su 100. Siamo esattamente a metà classifica, ben distanti dalla prima della classe Svezia (83,9 punti) e al di sotto della media europea (68) per poco più di 4 punti. La buona notizia è che dal 2010 l’Italia ha scalato la classifica e guadagnato 10 punti. La cattiva, anzi pessima, notizia è che dal 2018 il nostro punteggio è fermo – forse è il caso di dire impantanato – al suo posto. E così anche il percorso per la parità di genere dell’Italia.

Gli ambiti di indagine del Gender Equality Index

Ma qual è il significato di questo indicatore europeo? Il punteggio del Gender Equality Index misura il livello di parità a partire da sei ambiti di indagine: lavoro, denaro, conoscenza, tempo (dedicato alle attività di cura, a quelle domestiche e a quelle sociali), potere (politico, economico, sociale) e salute. E l’Italia è indietro su quasi tutta la linea, l’unico settore nel quale non siamo al di sotto della media europea è quello della salute, dove riscuotiamo un discreto punteggio (88,4 rispetto agli 87,8 dell’UE), soprattutto per quanto riguarda l’accesso ai servizi sanitari[1].

La situazione dell'Italia nel Gender Equality Index elaborato dall'European Institute for Gender Equality

Lavoro e tempo sono invece gli ambiti in cui performiamo peggio. Per quanto riguarda la parità di genere nel mondo del lavoro, con un punteggio di 63,7 (la media europea è di 71,6) l’Italia è l’ultima in tutta Europa, con il livello di partecipazione femminile più basso (69,1 vs 81,3). Un risultato davvero sconsolante. Non facciamo bene nemmeno per quanto riguarda il tempo dedicato alle attività di cura (badare a figli e parenti, fare i lavori domestici), che pesano ancora soprattutto sulle donne, tanto che ci troviamo tra gli ultimi sei Paesi europei.

Italia, uno sguardo più da vicino alla parità di genere nell’ambito lavorativo

Qual è il livello di pay gap in Italia? A un primo sguardo il nostro Paese sembra fare bene. In media, secondo Eurostat, le donne in Europa guadagnano il 13% in meno dei colleghi. In Italia questo divario si riduce e arriva al 4,2%. Se, però, andiamo a vedere più nel dettaglio e oltre al dato della retribuzione oraria lorda valutiamo anche la media delle ore di lavoro e il tasso di occupazione finiamo di nuovo in fondo alla classifica europea. Il problema principale è che in Italia le donne lavorano in media meno ore degli uomini, perché più spesso hanno un lavoro part-time. E nel 2021 il 49,6% di tutti i contratti delle donne era part-time contro il 26,6% di quelli degli uomini. Inoltre, abbiamo uno dei tassi di occupazione femminile più bassi di Europa. Se è vero che il dato a causa della pandemia è sceso in tutti i Paesi membri, l’Italia nel 2020 ha registrato un tasso di occupazione femminile del 49%. Dopo di noi solo la Grecia.

C’è anche il soffitto di cristallo

A che punto è la parità di genere all’interno delle aziende in Italia? Qual è la percentuale delle donne in posizioni apicali o esecutive? Le imprese offrono pari opportunità a uomini e donne, oppure anche su questo aspetto il genere femminile continua a vivere una discriminazione?

Nessuna buona notizia anche su questo fronte. In Italia, considerando il numero totale dei Ceo, solo il 3% è donna, secondo lo studio dell’associazione European women on boards (Ewob). Non che la media europea sia molto più alta: si ferma al 7%. A farci compagnia in fondo alla classifica ci sono Germania (3%), Svizzera (2%), Spagna (4%) e Portogallo (6%). L’Italia ha poi la più alta percentuale di donne nei Comitati dei Cda/Consigli di Sorveglianza, il 47%. Un ottimo risultato, figlio di una legislazione favorevole che prevede una quota del 40% di donne nei Cda e nei collegi sindacali delle società quotate in Borsa. Nonostante su questo aspetto si sia raggiunta quasi la parità, a capo dei Cda rimangono saldi gli uomini e le donne sono rappresentate solo per il 15%.

Se si allarga lo sguardo al di fuori dei consigli di amministrazione, i numeri scendono ancora. Le donne nei livelli esecutivi sono presenti solo al 17%. Il soffitto di cristallo resiste.

Le donne si laureano di più e meglio. Ma poi…

La discriminazione è evidente, soprattutto se si tiene in considerazione che il livello di istruzione femminile è più alto di quello maschile. Il 23% delle donne, infatti, è in possesso di una laurea, contro il 17,2% degli uomini (dati Istat del 2020). Secondo il primo rapporto tematico di genere di Almalaurea, presentato a gennaio 2022, non solo le donne rappresentano la maggioranza dei laureati (60%) ma dimostrano anche maggiori performance pre-universitarie e universitarie. Peccato che poi l’inserimento nel mercato del lavoro sia più difficile e gli stipendi percepiti mediamente più bassi.

E tutto il lavoro non pagato…

 C’è tutto il discorso poi del lavoro sommerso, di tutte le responsabilità, gli oneri e i carichi – mentali e non – legati al “lavoro dopo il lavoro”, quello che aspetta le donne una volta tornate a casa o conclusa la giornata lavorativa. In tutta Europa il trend è lo stesso: sono sempre le donne a occuparsi in maggior parte delle attività di casa, della gestione e dell’educazione dei figli, dell’assistenza ai parenti. In media dedicano 2 ore e mezza in più al giorno al lavoro non retribuito (dati Ocse) rispetto gli uomini. E anche qui tristemente siamo in fondo alla classica europea. Le donne italiane, infatti, dedicano ogni giorno 3,6 in più al lavoro domestico rispetto agli uomini. Una situazione che il Covid ha sicuramente aggravato. Questa disparità genera una vera e propria povertà di tempo che incide profondamente sulle possibilità femminili di partecipare al mondo del lavoro in modo equo.

[1] Viene da chiedersi se questo virtuosismo si mantenga intatto quando il servizio sanitario richiesto dalla donna è l’aborto. L’indice europeo non contempla questo elemento nella sua valutazione. Qui un articolo che parla del numero di ginecologi obiettori in Italia e delle strutture ospedaliere in cui di fatto è impossibile accedere alla procedura: https://www.ilpost.it/2021/10/11/obiezione-coscienza-struttura-aborti-italia/

Micol Burighel

 

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