La notte della sua rielezione, il presidente Barack Obama ha espresso grandi ambizioni per il suo secondo mandato, tra cui il desiderio di lasciare alle future generazioni un paese che non solo sia libero dal debito e non sia gravato dalle ineguaglianze, ma anche “che non sia minacciato dal potere distruttivo di un pianeta che si surriscalda.”

Le leggi della fisica e della politica suggeriscono che avrà vita dura al riguardo, e il successo del suo secondo mandato sarà certamente misurato sulla base di parametri molto più concreti. Il presidente, dopotutto, si trova ad affrontare parecchie decisioni in sospeso che certo creeranno divisioni, tra cui se e come ripulire il parco sempre più vecchio di impianti a carbone, i quali pompano nell’atmosfera enormi quantità di biossido di carbonio e altri gas-serra. Deve anche decidere se approvare o meno il controverso progetto dell’oleodotto Keystone XL, che trasporterebbe greggio pesante ad alte emissioni di carbonio dalle aree bituminose della provincia di Alberta, in Canada, ai porti del Golfo americano.

Se il passato è il prologo, è improbabile che Obama riesca ad accontentare tutti.

Se molti conservatori hanno trascorso gran parte degli ultimi quattro anni a condannare il presidente tacciandolo di essere un fanatico ecologista, incline a sacrificare posti di lavoro e crescita economica sull’altare della natura, Obama ha anche ricevuto critiche dalla sua base ambientalista. Una vasta gamma di gruppi conservatori e di attivisti del clima hanno sostenuto che il presidente ha percorso una strada a dir poco equivoca, difendendo ad esempio la riduzione delle emissioni mentre al tempo stesso accoglieva un aumento delle trivellazioni per il gas e il petrolio, anche nella delicata zona artica, e portava avanti il suo sostegno alla cosiddetta tecnologia del carbone pulito, che molti ambientalisti considerano un ossimoro.

Di certo l’amministrazione Obama, nel corso del secondo mandato, ha introdotto diverse misure di portata indiscutibilmente storica per la riduzione delle emissioni nocive, tra cui nuovi parametri rigorosi sui consumi di carburante per i veicoli e limiti alle emissioni dei nuovi impianti energetici, entrambe promulgate tramite l’autorità normativa dell’Environmental Protection Agency (Ente per la tutela ambientale), invece che da una legge del Congresso.

Ma anche dopo un anno di critiche da record, Obama inizia il suo secondo mandato sullo sfondo di un Congresso che resta ostinatamente diviso riguardo alle questioni del clima e della tutela ambientale, perciò è difficile sperare che simili questioni vengano affrontate con un’attività legislativa a larga base, che, stando a quanto dichiara l’amministrazione da molto tempo, sarebbe la via preferibile per questo genere di misure. Questo lascerà nelle mani del presidente una lunga serie di richieste e aspettative da parte della sua base ambientalista, e per farvi fronte avrà a disposizione solo le corsie relativamente strette della sua autorità normativa, se dovesse scegliere di farlo.

La settimana scorsa, i capi di oltre tre dozzine di importanti organizzazioni per l’ecologia e la tutela dell’ambiente hanno inviato una lettera a Obama, chiedendogli di usare l’autorevole pulpito della sua presidenza per porre il surriscaldamento globale, tra le altre cose, in cima e al centro del dibattito nazionale.

Clark Stevens, un portavoce della Casa Bianca, ha dichiarato che il mutamento climatico è ben presente nella linea di mira del governo. “Il presidente ha espresso con chiarezza la convinzione che il mutamento climatico sia reale, che sia dovuto all’azione umana e che dobbiamo continuare a prendere provvedimenti per affrontare questa minaccia”, ha detto Stevens, elencando i risultati del primo mandato di Obama. Il governo, ha aggiunto, “continuerà a portare avanti questi progressi e nel secondo mandato il mutamento climatico sarà una priorità.

Questa affermazione – e una serie di altri punti controversi legati all’ambiente – sarà oggetto di un attento scrutinio nei prossimi quattro anni. Tra le questioni salienti:

LE EMISSIONI DEGLI IMPIANTI ENERGETICI

Nel 2007, la Corte Suprema ha deliberato che, se l’EPA (Ente per la tutela ambientale) avesse stabilito che i gas serra sono una minaccia per la salute dell’uomo, quelle emissioni avrebbero dovuto essere regolate dall’ente ai sensi del Clean Air Act (Legge sull’aria pulita). Due anni dopo l’EPA, sotto la direzione di Lisa Jackson, ha stabilito che il biossido di carbonio e altri gas serra sono una minaccia per la salute pubblica. Nei mesi e negli anni seguenti, l’ente ha imposto nuovi limiti alle emissioni di automobili e autocarri leggeri, ma anche di tutti i nuovi impianti energetici.

Quelle norme hanno indignato le industrie alimentate a carbone, che attualmente non trovano un modo realistico per rispettare i limiti alle emissioni. La tecnologia di isolamento e controllo del carbonio è lontana decenni dalla commercializzazione, nonostante i 5 miliardi di dollari circa che l’amministrazione Obama ha investito per sviluppare la tecnologia del “carbone pulito”. Conclusione: la normativa di fatto impedisce la costruzione di nuovi impianti a carbone.

Nel secondo mandato di Obama, i gruppi ambientalisti vogliono di più. Vogliono vedere la piena attuazione di quelle normative e, soprattutto, vogliono nuove norme per gli impianti a carbone esistenti, a cui si deve il 40 per cento circa delle emissioni del paese. Quanto sarà aggressiva la politica del governo è una questione aperta, dato che i provvedimenti costringerebbero quasi certamente gli impianti a chiudere. L’incertezza – insieme ai prezzi del metano che hanno toccato il livello minimo – sta inducendo molte aziende del servizio pubblico a convertire i propri impianti al metano, che può alimentarli nel rispetto delle normative EPA.

Ammettendo che una normativa sulle emissioni degli impianti esistenti non passerà senza un’animata battaglia legale, David Goldston, direttore delle politiche governative al Natural Resources Defense Council (Consiglio di difesa delle risorse nazionali), l’ha definita un “frutto facile da cogliere ma tossico”. “L’amministrazione deve fare il primo passo”, ha detto Goldston. “Il presidente ha più volte ribadito che è interessato ad affrontare energicamente il problema del clima, e questo ricade nell’autorità di cui già dispone.”

L’OLEODOTTO KEYSTONE XL

Una decisione sul controverso oleodotto, che trasporterebbe greggio pesante da Alberta alle raffinerie sulla costa texana del Golfo – e poi al mercato petrolifero mondiale – è stata improvvisamente posticipata dall’amministrazione Obama proprio quando la campagna presidenziale del 2012 stava entrando nel vivo. “Necessita uno studio più approfondito”, è la motivazione offerta dal Dipartimento di Stato, cui spetta la decisione perché l’oleodotto attraversa un confine internazionale, anche se la politica ha giocato certamente un ruolo chiave nel rinvio della delibera.

I repubblicani del Congresso hanno reagito con rabbia al rinvio, tanto da subordinare l’accordo sul taglio delle imposte sul ruolo paga dell’ultimo anno all’approvazione dell’oleodotto, fondamentalmente invano.

Ma ora è passato un anno, il presidente ha conquistato il suo secondo mandato, e la decisione rimane un’ospite sgradita alla festa della sua rielezione. Esistono diverse opinioni riguardo all’impatto dell’oleodotto sul mondo reale, sia a livello commerciale, sia a livello di riscaldamento globale, anche se è difficile sbagliarsi nel presumere che il progetto non darà adito a un’eccezionale quantità di posti di lavoro né abbasserà il prezzo del carburante come affermano i suoi sostenitori. Allo stesso tempo, non tutti concordano sul fatto che la realizzazione dell’oleodotto Keystone XL significherebbe necessariamente una “partita persa” per il clima, come hanno dichiarato alcuni oppositori del progetto, anche se una ricerca condotta da un gruppo ambientalista canadese giovedì suggerisce che l’impatto di Keystone sul clima potrebbe essere peggiore di quanto si pensasse.

Ma qualunque siano i suoi reali effetti, l’oleodotto rimane un totem estremamente potente per gli esponenti di entrambi gli schieramenti. A ragione o a torto, per alcuni rappresenta l’impegno di Obama per i posti di lavoro americani e per la liberazione dalla tirannia del petrolio mediorientale, e per altri rappresenta la volontà del presidente di porre chiaramente fine all’era dei combustibili fossili.

Rifiutiamo i carburanti sporchi”, ha dichiarato la coalizione di gruppi ambientalisti nella lettera inviata a Obama la settimana scorsa. “Non dobbiamo seguire la via dei carburanti sporchi come le sabbie bituminose, quando la scienza climatica ci dice che l’80 per cento delle riserve esistenti di carburanti fossili dev’essere tenuta nel terreno”.

Altri sostenitori dell’azione ambientalista vedono l’oleodotto come una distrazione. “È diventato un focolaio molto simbolico”, ha detto Elliot Diringer, vicepresidente esecutivo del Center for Climate and Energy Solutions (Centro per le soluzioni sul clima e l’energia) di Washington ed ex consulente alle politiche della Casa Bianca presso il Council on Environmental Quality (Consiglio sulla qualità ambientale) sotto la presidenza di Bill Clinton. “Ma non so se dovremmo investire tutto il nostro capitale politico su vittorie simboliche, invece che su progressi reali.”

Mentre al Dipartimento di Stato prosegue una nuova revisione ambientale del progetto, gli occhi saranno inevitabilmente puntati sul presunto successore del Segretario di Stato uscente Hillary Clinton, il senatore democratico del Massachusetts, John Kerry. Nominalmente sarà lui ad ereditare la richiesta del permesso federale per Keystone, anche se la decisione finale spetterà a Obama.

Il governo ha già dato il consenso a TransCanada, la società che sta dietro all’oleodotto, di iniziare a costruire la tratta inferiore del progetto, cha va da Cushing, Oklahoma, alla Costa del Golfo, dando adito ad animate battaglie tra i protestanti e la polizia locale. Ma il collegamento alle sabbie petrolifere dell’Alberta – un deposito indiscutibilmente sporco di bitume denso, che richiede una copiosa raffinazione e un trattamento chimico ad alte emissioni per trasformarlo in un prodotto utilizzabile – rimane il vero banco di prova per Obama, un presidente che, dopotutto, ha investito molte energie per propagandare una strategia energetica “a tutto campo”.

Probabilmente una decisione è ancora molto lontana, ma è certo che ampi settori dell’elettorato saranno scontenti, qualunque decisione prenda il presidente.

LA CONVERSAZIONE SUL CLIMA

Il terzo e ultimo confronto tra i candidati presidenti, lo scorso ottobre, ha segnato un primato: è stata la prima volta, dagli anni Ottanta, che un’intera stagione di confronti tra candidati presidenti e vicepresidenti si è conclusa senza neanche un accenno al mutamento climatico. Per gli ambientalisti, e per molti americani in generale, è stata un’inquietante pietra miliare, specialmente dal momento che una gigantesca supertempesta – di quelle che, secondo gli ammonimenti di quasi tutti gli scienziati del clima, saranno sempre più frequenti nei prossimi anni per via del riscaldamento globale – si è abbattuta sulla costa orientale e, alla fine, ha causato devastazioni senza precedenti.

L’Uragano Sandy:”, ha scritto Daniel Honan su BigThink.com, “la vendetta di madre natura sulle elezioni del 2012?”

Obama in particolare è stato preso di mira per il suo silenzio, che è sembrato prendere il sopravvento nel suo primo mandato, nel periodo in cui il sostegno per un’esauriente legislazione sui mutamenti climatici – obiettivo di primo piano per il candidato Obama nel 2008 – stava naufragando. I gruppi ambientalisti si sono infuriati per la decisione del presidente di defilarsi nella lotta per il clima, e di concentrarsi su altri obiettivi, principalmente la sanità e la riforma sull’immigrazione.

Penso solo che sia irresponsabile, da parte dei nostri leader, non affrontare una delle massime sfide che la nostra generazione deve fronteggiare”, ha dichiarato Phil Radford, direttore esecutivo di Greenpeace USA, alla conclusione dei confronti tra candidati. “È una delle peggiori minacce alla sicurezza che abbiamo; è una minaccia per l’agricoltura, è una minaccia per l’economia. E limitarsi a non parlarne affatto è uno dei fallimenti più gravi dei nostri leader politici.”

La Casa Bianca ha definito ingiuste queste proteste e altre di simile tenore. Ma considerando la notizia recente secondo la quale negli Stati Uniti il 2012 è stato l’anno in media più caldo di tutti gli altri anni documentati, e la valutazione dei mutamenti climatici commissionata dal Congresso e diramata venerdì, la quale indica che gli effetti del riscaldamento globale si stanno già sentendo, Obama può aspettarsi che gli venga chiesto sempre di più di esprimersi in merito.

La leadership è importante”, ha scritto Dan Lashof, direttore del programma per il clima e l’aria pulita del Natural Resources Defense Council (Consiglio per la difesa delle risorse naturali) in un post di questo lunedì. “Perché il presidente deve raccogliere il sostegno collettivo per i passi coraggiosi che deve compiere per affrontare il mutamento climatico e assicurarsi che quei passi non vengano invalidati dal Congresso.”

Nella lettera inviata al presidente la settimana scorsa, i capi ambientalisti hanno sottolineato questo punto: “Alzi la voce”, hanno scritto. “Sollevi la questione del dissesto climatico e delle soluzioni sul clima nel dibattito pubblico. Unisca i punti tra l’inquinamento da carbonio e gli estremi climatici, e guidi il dibattito pubblico su cosa dobbiamo fare come nazione sia per prepararci ai mutamenti climatici che non sono più evitabili, sia per evitare mutamenti climatici che sono inaccettabili.”

Nei prossimi quattro anni il presidente si troverà di fronte a una serie di altre questioni ambientali, proprio mentre molti dei suoi luogotenenti chiave sull’energia e l’ambiente hanno annunciato di abbandonare l’incarico o si prevede che lo faranno presto. Tra questi ci sono Lisa Jackson dell’EPA, Steven Chu dell’Energy Department (Dipartimento dell’energia) e Jane Lubchenco del National Oceanic and Atmospheric Administration (Ente nazionale per gli oceani e l’atmosfera).

Mercoledì, il Segretario agli Interni Ken Salazar ha annunciato che anche lui lascerà l’incarico.

Il rafforzamento del Clean Water Act per proteggere le sorgenti e le paludi, nel frattempo, è in cima all’agenda di molti gruppi. Gli attivisti inoltre osserveranno l’EPA che compie un’analisi della fratturazione idraulica – usata dalle società metanifere e petrolifere per sfruttare i giacimenti più profondi di idrocarburi – e il suo impatto sulle risorse idriche. I gruppi per la salvaguardia dell’ambiente hanno lamentato il fatto che Obama, finora, ha posto sotto tutela quantità di terreno minori rispetto a tutti i presidenti più recenti. Vogliono di più. Anche le richieste per una supervisione riformatrice della produzione e dei trattamenti chimici – un’industria sciaguratamente negletta dalle normative, secondo gli attivisti – si stanno facendo pressanti, come le richieste affinché Obama sospenda le ricerche di gas e petrolio nell’Artico.

Queste ultime pressioni arrivino dopo una serie di imbarazzanti passi falsi della Shell Oil, che aveva ottenuto il permesso federale di installare pozzi di ricognizione sulla costa dell’Alaska quest’anno, per poi andare a picco nel mare in burrasca e dimostrare un’evidente incapacità di mantenere il controllo delle sue navi per ricerche petrolifere.

È in corso un’indagine del Dipartimento degli Interni, ma gli indizi fanno pensare che l’amministrazione Obama continuerà a seguire la sua rotta su questi temi.

Sviluppare le fonti di energia autoctone dell’America è essenziale per ridurre la nostra dipendenza dal petrolio straniero e per creare lavoro qui in patria”, ha detto Salazar la settimana scorsa, “e il governo è pienamente impegnato a ricercare potenziali fonti di energia in zone di frontiera come l’Artico.”

Di Tom Zeller Jr.
Fonte: The Huffington Post