Sergio Vazzoler Il tema del fundraising è strettamente intrecciato con quello della comunicazione e oggi si impone nel dibattito pubblico come chiave di volta per la sostenibilità economica delle organizzazioni. Il terzo settore e il nonprofit sono certamente le aree dove si concentrano le maggiori attenzioni a questo tema che, in realtà, coinvolge a vario titolo anche il mercato delle imprese. La politica, e le organizzazioni politiche, anche alla luce della riforma del sistema di finanziamento, stanno diventando attori importanti nell’attività di fundraising. E proprio al mondo politico è dedicato il libro di Simona Biancu e Alberto Cuttica, Partiti «Low Cost»? Dieci consigli per una politica più responsabile e trasparente. Simona e Alberto operano nel mondo della consulenza e della formazione con ENGAGEDin, società che lavora per organizzazioni nonprofit, aziende, fondazioni e istituzioni pubbliche. Spesso collaboriamo a progetti comuni, ma questa volta li abbiamo intervistati, a margine di un dibattito con alcuni esponenti politici su politica, comunicazione e finanziamenti, per approfondire alcuni temi del loro libro.   Prima di entrare nel merito del libro, vi chiediamo di definire in pillole lo stato dell’arte del fundraising in Italia: siamo a uno stato acerbo, intermedio o maturo nel governare questa opportunità? Oggi possiamo dire di essere in una fase intermedia, di transizione. Certamente il nostro Paese è culturalmente indietro rispetto alle realtà, come Inghilterra e Stati Uniti, dove il fundraising è nato e dove è radicato a livello profondo nella società. Noi – parliamo del tema in generale e con riferimento a tutti gli ambiti di applicazione – abbiamo iniziato a parlarne con una certa continuità negli ultimi anni. Il tema desta curiosità e interesse diffuso, ed è un buon segno in una prospettiva di reale penetrazione e consolidamento. Veniamo ora al titolo del libro. Dopo tutto quanto abbiamo visto, tra inchieste giudiziarie, crollo di fiducia e crescente astensionismo, i partiti “low cost” sono una speranza o una necessità? Entrambe le cose, da punti di vista diversi. Sono sicuramente una speranza dal lato degli elettori, anzi dei cittadini e della comunità in senso lato. Cioè dal punto di vista delle persone comuni che ora vedono la politica come un qualcosa di ormai distante dalla realtà e connotato in modo fortemente negativo. Sono una necessità dal lato delle organizzazioni politiche: cambiare approccio, essere (o tornare a essere) trasparenti e fortemente legati alle istanze provenienti dalla società è l’unica via per la sopravvivenza della politica in quanto tale. Il passaggio del libro in cui evidenziate come qualsiasi richiesta di donazione diventa inefficace se non anticipata da un’attenta cura delle relazioni contiene temi a noi comunicatori molto cari. Facciamo un esempio per chiarire il concetto. Partiamo dal concetto che il fundraising ha solo come ultimo passo la richiesta di fondi. Tutto parte, appunto, dalla costruzione di una relazione strutturata e continuativa tra l’organizzazione e il donatore (non necessariamente di soldi, ma anche di tempo, di contatti, ecc.). Quindi, per stare sul pratico, è perfettamente inutile che io come elettore venga tempestato di comunicazioni solo a ridosso delle scadenze elettorali o di un’urgenza specifica. Se mi sento solo “utile” in quell’occasione, non sentirò mai la spinta ad avvicinarmi all’organizzazione, a volerla sostenere in modo costante, diventando a mia volta un suo “ambasciatore”. La voglia di partecipazione da parte dei cittadini, nonostante l’astensione sembri indicare il contrario, c’è. Ma è fatale ignorarla, persistere in una relazione che, a mala pena coinvolga solo gli iscritti ai partiti. Usiamo verbi come “condividere”, “partecipare”, “raccontare”. Questo richiede una cura e una interazione costante, un flusso di comunicazione, informazione e “rendicontazione” continuativo tra organizzazione e cittadino, l’utilizzo di strumenti diversi rispetto al passato. In più la comunicazione deve essere utilizzata seriamente in modo bi-direzionale: il cittadino deve poter ascoltare ed essere ascoltato, idem l’organizzazione politica. Oggi questo flusso è inesistente o interrotto in molti punti. Quindi la reputazione rappresenta il “nodo centrale” per le attività di fundraising. Ma quanto ne sono consapevoli gli attori politici? E’ difficile generalizzare. Anzi, sarebbe sbagliato. La politica in senso lato, dai singoli partiti alle istituzioni, è una realtà variegata in cui ci sono ottimi esempi, così come pessimi. Sicuramente, in modo certamente più lento di quanto ci si potrebbe attendere, una parte – trasversale – della politica sta interpretando il proprio ruolo nel modo corretto, con la consapevolezza che tutto passa attraverso la reputazione: senza questo come presupposto viene meno il ruolo della politica e la funzione stessa degli attori politici. Però occorre uno scarto mentale, un passo avanti più deciso per abbandonare una mentalità profondamente radicata: in un recente dibattito con alcuni politici di livello regionale nella nostra città è emersa più volte il concetto del “senza regole stringenti sulla raccolta di fondi il risultato sarà distorto e la politica in mano a pochi facoltosi”. Il problema a nostro avviso non è sempre quello di avere regole per ogni singolo dettaglio, perché siamo il Paese dove prima di ogni legge è già pronto il modo per aggirarla. Anzi, tendiamo a vedere tutto con l’occhio distorto del malpensante, di chi è abituato a vedere tutto come “marcio”. Il tutto sarebbe infinitamente più semplice avendo come riferimento il senso dell’etica, dell’opportunità, del buon senso, del rispetto dei ruoli. Nel libro è contenuto un decalogo di buon consigli. Quale tra questi è per voi il più lontano dall’essere sviluppato efficacemente? Probabilmente gli aspetti su cui le organizzazioni politiche e chi fa politica dovrebbero concentrare l’attenzione sono la definizione di un’identità e di valori da trasmettere e la capacità di raccontarli, di raccontarsi. Intendiamo dire che non è sufficiente né uno Statuto, né una generica carta di principi o, come quasi sempre succede, una generica elencazione di luoghi comuni storicamente consolidati e rappresentativi di una parte politica o dell’altra. Parliamo di qualcosa di concreto, coinvolgente, documentato, riconoscibile. Il cittadino deve poter riscoprire il piacere, quasi la necessità, di essere coinvolto su qualcosa in cui credere. E, se pensiamo alla miopia che incontriamo ancora troppo spesso quando ci confrontiamo con le organizzazioni politiche, questo è ancora molto lontano dall’avvenire, e rimarrà tale se i partiti non superano l’autoreferenzialità che li caratterizza oggi come ieri.]]>