ESG, dalla compliance alla strategia: perché le imprese non possono più tornare indietro

Secondo il report “Beyond Compliance” la compliance ESG è oggi una leva strategica per reputazione, investimenti e performance operativa.
Un nuovo studio, condotto dagli studenti dell’Università di Cambridge in collaborazione con DNV, evidenzia come il 72% delle aziende intervistate ritenga che l’adeguamento normativo ESG abbia aumentato il proprio valore agli occhi di investitori e azionisti. In un mercato sempre più attento alla trasparenza, responsabilità e affidabilità diventano fattori di fiducia e competitività di lungo periodo. Non si tratta di un’operazione di branding, ma di un vero cambio di paradigma: la sostenibilità entra nei processi decisionali e si riflette lungo tutta la catena del valore.
L’impatto sul capitale e sulla reputazione della compliance ESG
Uno degli effetti più tangibili dell’integrazione ESG è l’accesso agevolato al capitale. Gli strumenti di finanza sostenibile – dai green bond ai finanziamenti sustainability-linked – richiedono standard stringenti e verificabili, ma in cambio offrono condizioni favorevoli, incentivi e maggiore visibilità.
Gli effetti positivi non si limitano però solo alla sfera finanziaria. Secondo i dati di Cambridge e DNV:
- il 44% delle aziende segnala un aumento dell’efficienza operativa grazie alla rendicontazione ESG,
- il 43% ha ridotto i costi legati alle emissioni di carbonio,
- il 66% ha migliorato la gestione dei rischi operativi, come le interruzioni nella supply chain.
In altre parole, l’ESG non solo rafforza la reputazione, ma migliora i processi interni e rende le organizzazioni più resilienti.
CSRD, CS3D e il pacchetto Omnibus: tra spinta e freni
Il vero banco di prova oggi è la normativa europea. La CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive), entrata in vigore nel 2024 per le grandi aziende e in estensione alle PMI nei prossimi anni, impone il principio della doppia materialità: rendicontare non solo l’impatto delle attività su ambiente e società, ma anche i rischi ESG che possono incidere sulla performance finanziaria. A questo proposito dal report è sorprendentemente emerso che, il 71% delle aziende era già impegnato in qualche forma di rendicontazione di sostenibilità prima che entrassero in vigore gli obblighi della CSRD, e il 7% andava oltre i requisiti previsti dalla direttiva. I principali fattori trainanti di questa adozione anticipata includevano la domanda dei clienti (19%) e il coinvolgimento dei dipendenti (17%).
In Italia, il recepimento con il Decreto Legislativo 125/2024 apre la strada a una trasformazione organizzativa che richiede sistemi digitali di raccolta dati, nuove competenze, KPI aggiornati e una governance integrata. A rafforzare questo impianto c’è la CS3D, che introduce obblighi di due diligence lungo tutta la catena di fornitura: la sostenibilità non può più essere “scaricata” sui fornitori.
Nonostante le norme siano in continua evoluzione non dobbiamo dimenticare che, in parallelo, Bruxelles ha annunciato l’“Omnibus Simplification Package”, pensato per ridurre e semplificare il carico regolatorio sulle imprese. Una scelta che sembra andare in controtendenza rispetto all’inasprimento normativo, e che apre un interrogativo: le aziende continueranno ad anticipare le richieste del mercato e degli stakeholder, o rallenteranno il passo approfittando della semplificazione?
La sfida della misurazione
Il nodo centrale resta la capacità di misurare e comunicare dati ESG affidabili. Dichiarare un impegno non basta: servono strumenti che lo rendano tracciabile, standardizzato e comparabile. Infatti, il 26% delle imprese intervistate richiede una guida normativa più chiara, il 23% migliori strumenti digitali di rendicontazione e il 22% vorrebbe parametri di riferimento più solidi sulle best practice. La direzione è tracciata: solo con basi robuste e una solida trasparenza la compliance ESG potrà consolidarsi come nuovo indice di solidità aziendale e fattore decisivo di competitività nel lungo periodo.
Riccardo Piglia