L’integrazione di materiali post-consumo nei prodotti è una prassi ormai diffusa. Ma sempre più imprese e Ong stanno compiendo un passo in più, cercando di riciclare scarti di plastica pericolosi recuperati dall’oceano, anche se ciò comporta la creazione di una filiera e l’utilizzo di nuova tecnologia.
Aquafil,un’impresa che fabbrica fibre tessili in nailon, ha aderito recentemente all’Healthy Seas Initiative per recuperare e riciclare le reti da pesca in nailon. L’azienda è già uno dei primi “riciclatori” al mondo, con una domanda insaziabile per i rifiuti di plastica.
“Le nostre fabbriche operano sette giorni alla settimana e 24 ore al giorno. Non è facile e dobbiamo trovare grandi quantitative di rifiuti”, spiega Maria Giovanna Sandrini, brand manager a Aquafil.
Dalle reti da pesca alle fibre
Lo sviluppo di un sistema per raccogliere i rifiuti marini da usare per materiali nuovi ha fatto sì che l’Healthy Seas fosse un progetto di grande appeal per Aquafil. In questa prima fase, si cercano le reti da pesca, che rappresentano circa il 10{f94e4705dd4b92c5eea9efac2f517841c0e94ef186bd3a34efec40b3a1787622} di tutti i rifiuti nel mare, pari a circa 640.000 tonnellate, secondo una relazione congiunta dell’United Nations Environmental Programme (UNEP) e della Food and Agriculture Organization (FAO).
“Il piano è in grado di gestire e trasformare circa 11.000 tonnellate di rifiuti all’anno” evidenzia Sandrini.
Assieme al produttore olandese di calzini Star Sock e all’ECNC Land & Sea Group, Aquafil sta recuperando reti da pesca abbandonate in tre diverse aree: il mare del Nord (Paesi Bassi e Belgio), l’Adriatico (Italia, Slovenia e Croazia) e il Mediterraneo (Spagna).
Una volta raccolte da sommozzatori volontari, le reti vengono trasportate a uno stabilimento in Slovenia dove vengono sfilacciate e rifilate per produrre filo ECONYL , una materia prima ad alta qualità impiegata per la fabbricazione di prodotti nuovi, come calzini, costumi da bagno, biancheria intima e moquette.
La raccolta dei rifiuti galleggianti
A parte le reti da pesca, la maggior parte dei rifiuti negli oceani è plastica galleggiante, trasportata alla deriva dalle correnti. Secondo le stime UNEP, nel 2005 per ogni km2 di mare, galleggiavano più di 13.000 pezzi visibili di rifiuti di plastica.
Il mese scorso, Ecover, il marchio di detersivi sostenibili, ha annunciato un’iniziativa per fabbricare imballaggi nuovi da plastica recuperata dal mare. Ecover lavora con Closed Loop Recycling (CLR), una società che trasforma le bottiglie di plastica PET e le bottiglie di latte in HDPE in nuovi imballaggi per alimenti. Si utilizzeranno rifiuti in plastica recuperati da pescatori europei dai mari attorno alle isole britanniche e riciclati allo stabilimento Closed Loop a Dagenham.
Nel frattempo, Upcycle the Gyres Society (UGS), un’Ong i cui responsabili provengono dall’Asia, dall’Europ, dalle Americhe e dall’Africa, spera di dimostrare la redditività della conversione di plastica marina in carburante come ENVIROLENE, un carburante a base di alcool, e anche in tessili, materiali per le stampanti 3D e altre risorse importanti.
“Sappiamo che la conversione in petrolio di plastica recuperata dalla terraferma funziona, è una tecnica collaudata da anni. Ora si tratta di dimostrare che la plastica dal mare potrà convertirsi in petrolio, e di verificare la qualità del petrolio”, dice José Luis Gutiérrez-García, project director a UGS.
UpCycle the Gyres lavora con gruppi come Living Oceans Society e Plastic Shore per promuovere le iniziative di raccolta e progetti individuali per deviare la plastica da discariche e convertirla in carburante. Gutiérrez-García parla anche di un sistema di raccolta indipendente che utilizzerebbe droni controllati da remoto per raccogliere persino i micro rifiuti di plastica senza danneggiare i plankton o la flora marina e trasferire i rifiuti a una grande nave-raccolta.
“La sfida è andare in mare e recuperare quantità sufficienti per garantire la redditività delle attività. E’ questo l’aspetto più complesso. Con un buon sistema di raccolta, UGS potrebbe mettere in piede un’attività redditizia nel giro di 2 a 5 anni” aggiunge Gutiérezz-Garcia.
Il costo della pulitura
Idealmente, la plastica in mare diventerà meno abbondante, ma per ora, dice UNEP, i rifiuti marini – soprattutto la plastica – sono alla pari con il cambiamento climatico, l’acidificazione dei mari e la perdita della bio-diversità: tutti problemi della nostra epoca. Circa 260 specie sono sotto minaccia di rimanere intrappolati o avvelenati, e siccome i rifiuti viaggiano in tutto il mondo, costituiscono un problema in tutto il pianeta.
“Certo, dobbiamo trovare altre fonti (di materiali riciclabili), ma la sostenibilità fa parte del nostro core business” afferma Sandrini. Con stabilimenti in Asia, Europa e Nord America, i vertici Aquafil vogliono progetti di ripulitura con effetti significativi nei Paesi in tutto il mondo e “lo sviluppo di un sistema che raccolga i rifiuti dai mari sono la risposta giusta”.
Il mese prossimo l’iniziativa “Healthy Seas” annuncerà il proprio piano operativo per i prossimi anni. L’iniziativa di raccolta è attualmente di piccole dimensioni, ma potrebbe costituire un modello per un’espansione nel futuro, dice Erik Rozen, responsabile innovazione e sostenibilità a StarSock.
“Con un’iniziativa di questo tipo, i costi sono prevalentemente costi fissi, quindi se operi in più posti, più bassi saranno i relativi costi fissi”.
Rozen afferma: “per Star Sock la plastica riciclata è più costosa, ma il materiale costituisce solo il 20 per cento della composizione finale del calzino, quindi fa aumentare il costo complessivo del progetto finito di solo 1-2 per cento, una differenza di costo abbastanza trascurabile. Siamo una azienda familiare e vogliamo fare un prodotto migliore e più sostenibile, in modo da fare le nostre scelte autonomamente. Siamo ben disposti a pagare un uno percento di più sui margini e questa storia piace a molti nostri clienti, che vogliono farne parte”.
“Un prezzo extra non è sempre un problema così grande come può sembrare quando inizi il viaggio”, conclude Rozen.
Fonte: Sustainable Brands