Mark Lynas Il cambiamento climatico è reale, causato quasi interamente dall’uomo, e rappresenta una minaccia potenzialmente esistenziale per la civiltà umana. Risolvere il cambiamento climatico non significa abbandonare il capitalismo, sospendere il mercato libero o fermare la crescita economica. Con queste due affermazioni piuttosto innocue, ho appena offeso la maggior parte delle persone sui due lati del dibattito sul clima. Oggi, il cambiamento climatico non è più solo un problema scientifico o energetico. La posizione di ciascuno sul riscaldamento globale è diventata una tessera politica identificativa in un dibattito lacerato da conflitti ideologici e tribali. Ciò rappresenta un cattivo auspicio per la possibilità dell’umanità di affrontare la minaccia prima che sia troppo tardi. La natura del consenso scientifico, che, a primo sguardo, dovrebbe essere piuttosto semplice, è diventata una questione aspramente contestata. Ogni temporale, ondata di caldo, aumento o caduta di temperatura è oggetto di battaglie, non per quello che è, ma per quello che rappresenta. Una bufera sulla costa orientale [degli Usa, ndr] è una vittoria per i negazionisti, come dimostra l’episodio assurdo di Jim Inhofe che arrivò al Senato statunitense con una palla di neve. Lo scioglimento dei ghiacciai artici è un successo per gli “allarmisti”, mentre l’incremento del ghiaccio dell’Antartide è un’arma per i “negazionisti”. Tutto questo non è scienza, è politica. La scienza – nella forma articolata dall’IPPC– dice che il surriscaldamento del clima è “inequivocabile”, che gli ultimi 30 anni sono stati probabilmente i più caldi degli ultimi 1500 anni e che è “estremamente verosimile che l’influenza umana sia stata la causa principale del surriscaldamento osservato a partire dalla metà del Novecento”. Inoltre, se l’attuale tendenza delle emissioni continuerà, un surriscaldamento pari a 4° o persino 6° centigradi è una possibilità entro il 2100. Non è necessaria alcuna esagerazione per illustrare la gravità della minaccia: un surriscaldamento su questa scala destabilizzerebbe i grandi strati di ghiaccio, alimenterebbe cambiamenti catastrofici dei fenomeni meteorologici, e creerebbe caos negli ecosistemi e nelle società umane. La temperatura del pianeta, assieme ai livelli di CO2, sarebbe la più alta da decine di milioni di anni. Dovremmo tutti concordare su questo, ma non riusciamo, poiché sembra che la narrativa scientifica sia stata presa in ostaggio da una parte, piuttosto estrema, della politica. Il principio della campagna sul clima di The Guardian è molto positivo. Ma corre il rischio di rafforzare tale polarizzazione aprendo con due estratti del nuovo libro di Naomi Klein, This Changes Everything: Climate vs Capitalism. La sinistra lo divorerà; altri lo vedranno come evidenza che la scienza è stata usata in maniera ideologica. Per Klein, che ha sempre lottato conto il capitalismo, il cambiamento climatico significa semplicemente che è necessario rinnovare la battaglia. Non le sembra né strano né fortuito che questa nuova “crisi”, che ammette di avere scoperto solo di recente, dovrebbe “cambiare tutto” per tutti gli altri, ma solo rafforzare la posizione ideologica che lei tiene da decenni. La sua analisi è la stessa anche per tutte le altre sfide odierne – che è tutta colpa delle multinazionali, del “fondamentalismo del mercato” e delle “elite”, che, secondo lei, controllano i media e la politica democratica. Tristemente, tutto ciò conferma quello che gli psicologi sociali sottolineano da anni: che tendiamo ad accettare solo quei “fatti” scientifici che rafforzano o sono compatibili con la nostra identità politica e la nostra visione del mondo. La sinistra ambientalista si è impossessata della scienza climatica perché sembrava confermare l’idea di un pianeta fragile e una civiltà moderna essenzialmente distruttiva. Inoltre, la scienza climatica sembrava annunciare il tragico destino globale sempre predicato dalla sinistra eco-Malthusiana. Reagendo a questa visione, la destra politica ha adottato una posizione sempre più negazionista – attaccando la scienza in una guerra occulta contro l’ideologia politica che tale scienza ha servito. La ragione per la quale il 50{f94e4705dd4b92c5eea9efac2f517841c0e94ef186bd3a34efec40b3a1787622} degli americani è sospettoso della scienza in fatto di cambiamento climatico non è perché si tratta di persone stupide e ingannate dalle lobby pro carburanti fossili, ma perché il surriscaldamento globale fa ormai parte delle guerre culturali americane, tanto quanto l’aborto o il creazionismo. E non diamo per scontato che il movimento ambientalista, o la sinistra, abbiano un monopolio sui valori illuminati. La maggior parte di quelli che combattono per il clima sulla base del consenso scientifico fanno a gara per negare un consenso ugualmente forte riguardo la sicurezza dell’energia nucleare e degli Ogm. Basta guardare la recente dichiarazione “no consenso” sostenuta dai verdi sugli Ogm, che rispecchia esattamente le dichiarazioni “no consenso” sul clima sostenute dalla destra. Intrappolati nelle rispettive trincee politiche, nessuno dei due gruppi capisce l’ironia – o il danno che recano alla scienza nel suo complesso. Il risultato di tutto questo è che il cambiamento climatico è molto più difficile da affrontare. Con la sua insistenza che la gestione delle emissioni CO2 sia integrata in un’agenda più ampia di rivoluzione sociale e di smantellamento del capitalismo, Klein non facilita la mitigazione climatica, anzi, la rende politicamente tossica. Quando respinge le soluzioni “troppo facili” come l’energia nucleare e l’avanzata delle rinnovabili (il temutissimo “technofix”), la sinistra scopre le sue carte – e conferma quello che la destra ha sempre sospettato: che la mitigazione climatica non è un obiettivo primario, ma al massimo secondario. Inoltre, il dibattito si svolge in una bolla occidentale. Nessuno in India mette in dubbio che l’uscita da una condizione di povertà di centinaia di milioni di persone nell’Asia meridionale richiederà la produzione di prodigiose quantità di energia – di gran lunga superiori rispetto a qualsiasi eventuale percorso di “austerità energetica” compensatorio intrapreso dall’Occidente. Non dimentichiamolo: i ricchi paesi OCSE hanno già raggiunto il picco delle proprie emissioni CO2, per cui quasi tutta la crescita futura avverrà in Asia, Africa e America Latina. Lasciamo stare i miti politici: ecco la dura realtà. L’uscita dalla povertà nei paesi emergenti non è negoziabile. Quindi, l’umanità raddoppierà o triplicherà il consumo energetico complessivo entro il 2050. La sfida è di sviluppare e implementare tecnologie che distribuiscano tale energia con il minore impatto possibile, probabilmente con una qualche combinazione di efficienza, rinnovabili, nucleare di nuova generazione e raccolta di emissioni. E’ necessario dedicare risorse enormemente maggiori nel R&D [Ricerca&Sviluppo, ndr], e stabilire un prezzo internazionale rilevante per la dispersione di CO2. Ma perché succeda anche solo una parte di tutto questo, dobbiamo riprendere il controllo del dibattito sul clima dagli estremi politici. Poi dovremo formulare proposte inclusive che costituiscano la base di un consenso sociale che duri per decenni se vogliamo che abbiano un impatto significativo sull’attuale crisi climatica.   Fonte: http://www.theguardian.com/commentisfree/2015/mar/12/climate-change-reclaim-debate-political-extremes]]>