Tim Mohin

Nei primi tempi della mia carriera ho avuto una rivelazione. Erano gli anni ’80 e lavoravo per l’Environmental Protection Agency statunitense, nel settore delle valutazioni di rischio per la regolamentazione dell’inquinamento atmosferico. Mi hanno chiesto di lavorare su una legge nuova per il controllo delle sostanze tossiche – la cosiddetta Superfund Amendments and Reauthorization Act (Sara), la quale – nella sezione 313 – impose alle imprese di pubblicare le emissioni di sostanze chimiche delle loro fabbriche. Subito, pensai che fosse un obbligo assurdo. Non capivo come un’aggregazione di informazioni sulle emissioni di sostanze chimiche molto diverse potesse essere utile.

Beh, quanto mi sbagliai …

Sara 313 è stata verosimilmente una delle leggi più efficaci nella storia del controllo delle sostanze tossiche, e gran parte del suo successo derivava dall’obbligo di trasparenza, una novità radicale all’epoca. Per la stampa, l’introduzione della legge fu una giornata campale. Ogni anno, quando le imprese pubblicavano le emissioni tossiche, venivano pubblicate storie con titoli del tipo “La sporca dozzina” o “I primi dieci inquinatori”. Tutta questa pubblicità negativa attirò molto interesse e non ci volle molto perché le imprese cominciassero a ridurre le emissioni.

La lezione fu che la trasparenza può essere una forza potente per il bene.

Oggi, la trasparenza – l’informativa sulla sostenibilità d’impresa – è una pratica diffusa in molti settori. Ad oggi, il sito CorporateRegister.com elenca oltre 60.000 bilanci di sostenibilità riguardanti, praticamente, ogni aspetto delle attività aziendali. Eppure, mentre Sara 313 chiarì il rapporto di causa ed effetto tra il reporting e la riduzione delle emissioni, l’attuale proliferazione di rapporti di sostenibilità fa sorgere la domanda: il modello attuale dell’informativa sulla sostenibilità di impresa produce veramente risultati importanti?

Il problema maggiore della trasparenza oggi è la sua ampiezza. Misuriamo quasi tutto ciò che c’è da misurare. Non solo è poco pratico per le imprese gestire una tale varietà di elementi, ma il fatto di relazionare su tantissimi argomenti rischia di oscurare le questioni veramente importanti, dando troppa enfasi a quelle meramente interessanti. Non che il reporting per la trasparenza sia sbagliata, o che non ne abbiamo ricavati dei vantaggi. Piuttosto, è sufficiente il ritorno sugli investimenti nell’informativa sulla sostenibilità di impresa?

Sara 313 fu efficace principalmente per tre ragioni: era facile da capire, riguardava un tema importante e produceva risultati aziendali facilmente comparabili. In particolare, la comparabilità fu indispensabile, poiché potenziò la capacità della trasparenza di migliorare le prestazioni. Ogni anno, con la pubblicazione dei dati Sara 313, le imprese venivano classificate in base ai volumi delle emissioni tossiche. Evidentemente, nessuno voleva essere in testa a una classifica del genere!

La trasparenza, dunque, è un motore per la comparazione – e per l’azione: paradossalmente, in termini di miglioramento delle prestazioni, troppa trasparenza può essere controproducente. Gli attuali indici di sostenibilità comprendono elementi che vanno dalle emissioni ambientali alla diversità del personale, passando per la remunerazione dell’amministratore delegato. Questa profusione di misure, raggruppate sotto la metrica ESG (environmental, social e governance), viene presentata solo di rado in modo da consentire una facile comparazione tra le imprese. In altre parole, se misuriamo troppo, rischiamo di non avvertire il segnale a causa del troppo rumore.

Un esempio in questo senso è la Global Reporting Initiative, che si proclama lo standard globale de facto per il reporting sulla sostenibilità di impresa. Comprende circa 90 indicatori di performance “chiave”, i quali obbligano le imprese a raccogliere volumi infiniti di informazioni. Per fare un esempio, lo studio 2014 per la Dow Jones Sustainability Index era lungo 129 pagine!

Tali rapporti richiedono molto lavoro; non solo, la loro complessità li rende poco accessibili. Alcune aziende cercano di agire da intermediari, sintetizzando le informative in indici e classifiche della sostenibilità facilmente digeribili. Ma l’ampiezza del perimetro ESG toglie quasi ogni valore a questi indici.

Ridurre gli innumerevoli temi compresi sotto l’etichetta della “sostenibilità di impresa” – che include praticamente qualsiasi cosa – richiede scelte difficili. Gli stakeholder devono allinearsi sulle questioni di maggiore importanza, quelle che producono le maggori conseguenze per le persone e il pianeta.

L’etichetta sui cibi realizzata dall’US Food and Drug Administration (FDA)  potrebbe costituire un possibile modello per il reporting sulla sostenibilità. Di fronte ad una ampia gamma di questioni di salute collegate alla nutrizione, la FDA doveva sviluppare un’informativa standardizzata che sarebbe stata semplice da capire e avrebbe facilitato la comparazione tra cibi diversi. La soluzione – la diffusissima etichetta nutrizionale FDA – raggiunse lo scopo con uno strumento di reporting flessibile e di facile uso per i consumatori. Chi cerca di perdere peso può controllare le calorie e i carboidrati. Chi ha la pressione sanguigna alta può controllare il livello di sodio. Insomma, la FDA ha reso utili, delle informazioni complesse e vitali.

La creazione di una “etichetta nutrizionale” per il reporting sulla sostenibilità è possibile, ma difficile. Ci vorrà un grande sforzo per raggiungere un accordo su pochi elementi di importanza critica per consentire reporting coerenti e comparabili, ma i benefici potrebbero essere enormi. Immaginiamo se i consumatori potessero confrontare la sostenibilità di prodotti concorrenti al punto di acquisto. O se gli investitori socialmente responsabili potessero esaminare la performance di sostenibilità delle imprese con la stessa facilità con la quale leggono i financial report. La natura del reporting e del coinvolgimento del mercato nella sostenibilità si trasformerebbe.

Quasi 30 anni fa, imparai una lezione importante sul potere della trasparenza per promuovere comportamenti positivi. Oggi, con la diffusione del reporting sulla sostenibilità, sarebbe forse utile pensare a valorizzare meglio il nostro investimento nella trasparenza. La semplificazione dei rapporti sulla sostenibilità di impresa per generare dati significativi e comparabili potrebbe stimolare una gara tra le imprese per diventare i numeri uno nei principali temi della sostenibilità.

 

Tim Mohin è il direttore della responsabilità di impresa a Advanced Micro Devices (AMD) e autore del libro Changing Business from the Inside Out: A Treehugger’s Guide to Working in Corporations

 

Fonte: http://www.theguardian.com/sustainable-business/2014/sep/11/corporate-responsibility-reporting-transparency-toxic-emissions-labeling-change