Andrew Simms Dopo un periodo di declino in alcuni paesi, i viaggi business sono in aumento. Si prevedono incrementi di spesa del 7,4{f94e4705dd4b92c5eea9efac2f517841c0e94ef186bd3a34efec40b3a1787622} nel Regno Unito, del 3,1{f94e4705dd4b92c5eea9efac2f517841c0e94ef186bd3a34efec40b3a1787622} negli Usa e del 15{f94e4705dd4b92c5eea9efac2f517841c0e94ef186bd3a34efec40b3a1787622} in Cina, secondo la Global Business Travel Association, e una spesa globale stimata di 1,25 mille miliardi di dollari quest’anno. Tra le 10 imprese che spendono di più per le trasferte di lavoro vi sono i quattro colossi della revisione contabile, PwC, EY, Deloitte e Accenture, che viaggiano avanti e indietro tra i continenti per rimediare alle crisi finanziarie in cui si sono ritrovati. Nell’elenco figurano anche due protagonisti dell’aviazione stessa, Boeing e Lockheed Martin, affiancati da ExxonMobil e qualche altro nome. Non doveva essere così. Grazie alle nuove tecnologie di video conferencing e agli sforzi delle aziende per ottimizzare i tempi di lavoro e riduzione delle spese, i viaggi business, in particolare i voli aerei, dovevano diminuire. Altri fattori avrebbero dovuto favorirne il declino, come le crescenti preoccupazioni per la sicurezza, la cultura aziendale di austerità sviluppatasi a seguito della crisi e, naturalmente, il cambiamento climatico. Sembra invece che l’economia senza impatto ambientale sia bloccata, forse permanentemente, all’uscita di imbarco. Qual è la ragione? Fin dai primi tempi, quando l’immaginario collettivo lo collegava all’idea di un élite ricco e di glamour – cui deriva il termine jet set – il volare è sempre stata un’aspirazione. Uno studio di lavoro per il Global Sustainability Institute mette in rilievo quello che è forse l’aspetto più rilevante dei viaggi business: il noleggio e la proprietà dei jet privati. NetJets, una società di Warren Buffet, è uno dei principali fornitori di questo tipo di servizio. La flotta NetJets conta oltre 700 velivoli, 200 in più rispetto a Lufthansa, ed effettua voli in 1.900 aeroporti in 100 paesi. A prescindere dal fascino e dallo status mai tramontato del volare in tutto il mondo, può essere che nella aviazione si stia verificando un fenomeno ben noto agli osservatori dello sviluppo tecnologico e dell’uso delle fonti energetiche nella storia. Quando arrivano nuove tecnologie per svolgere un’attività già svolta con altri mezzi – in questo caso la tecnologia che consente alle persone di connettersi senza la necessità di viaggiare – tali tecnologie non rimpiazzano quasi mai in toto i mezzi precedenti, piuttosto generano un aumento netto delle relative attività. Le fonti energetiche rinnovabili, ad esempio, non si stanno sostituendo ai carburanti fossili, semplicemente affiancano nuova capacità generativa al continuo consumo globale di carbone, petrolio e gas. Allo stesso modo, la facilità con la quale si stabiliscono rapporti interpersonali globali grazie ai social media, a Skype e alle telecomunicazioni di basso costo tende a far aumentare i viaggi, perché le persone si possano conoscere a quattro occhi. Ciò dimostra come lo sviluppo tecnologico da solo non è in grado di conseguire la sostenibilità, ma deve essere sostenuto anche da cambiamenti normativi e da politiche nuove. I timori relativi al surriscaldamento globale non sembrano porre freni significativi all’espansione dell’aviazione. L’incapacità frequente e preoccupante di capire il collegamento tra i due fenomeni potrebbe spiegare perché la Confederation of British Industry si sia sentita legittimata a premere in modo aggressivo per la costruzione di una nuova pista all’aeroporto londinese di Heathrow. Questo proprio nel momento in cui alcune zone del Regno Unito erano in ginocchio dopo severe inondazioni causate da eventi meteorologici estremi e il vertice Onu Cop 21 sul clima si stava svolgendo a Parigi. Quando la decisione sulla nuova pista londinese è stata rimandata, apparentemente per questioni ambientali, anche se molti ritengono che il motivo vero abbia a che fare con questioni politiche legate alle imminenti elezioni per il sindaco di Londra, urla di protesta si sono levate dalle grandi corporation. L’aviazione internazionale ha evitato l’inclusione negli accordi internazionali sul clima, scroccando un passaggio gratis dagli sforzi altrui di ridurre le emissioni. Nonostante le aspettative secondo cui, questa volta, l’accordo di Parigi avrebbe fatto riferimento a un coinvolgimento del settore dell’aviazione, di nuovo questo non è successo. L’ente per l’aviazione, IATA, si impegna a uno sviluppo carbon neutral del settore entro il 2020 e a una riduzione delle emissioni del 50{f94e4705dd4b92c5eea9efac2f517841c0e94ef186bd3a34efec40b3a1787622} entro il 2050, molto meno di quanto sarebbe necessario secondo gli scienziati. La professoressa Alice Bows-Larkin, un partner del Tyndall Centre for Climate Change Research di Manchester dice che i numeri IATA derivano da un mix discutibile e non documentato di emissions trading, compensazioni, efficienza e biocarburanti: “Credono di essere dei privilegiati e eludono gli obiettivi settoriali, i loro conti non tornano. Stanno dicendo:Stiamo facendo qualcosa, quindi lasciateci stare’.” Una soluzione curiosa viene dal professore Kevin Anderson, vice direttore del Tyndall Centre. Se la domanda di viaggi business continua a crescere, sostiene Anderson, significa che il settore dell’aviazione si aspetta che altri settori compensino la sua apatia, o che le comunità povere in zone climaticamente vulnerabili subiscano gli impatti di temperature sempre più calde. Ci potrebbe essere un modo vincente per ridurre le emissioni in poco tempo, dice Anderson, che potrebbe cambiare per sempre la cultura dei viaggi business. Prendiamo sul serio le preoccupazioni climatiche dei viaggiatori business e delle compagnie aeree, e smascheriamo il bluff. “Se non vogliono una riduzione della domanda, ma credono che il clima sia importante, dovrebbero eliminare i posti business e di prima classe, e far sì che tutti viaggino in classe economy; otterrebbero una significativa riduzione delle emissioni degli aerei”.   Fonte: http://www.theguardian.com/sustainable-business/2015/dec/11/heathrow-business-travel-climate-change-paris]]>