Il settore lattiero caseario rappresenta per il sistema economico italiano una sorta di Giano bifronte. Se da un lato l’export tira, dall’altro i consumi interni, per diverse ragioni, languono. Da uno studio di Agrifood Monitor presentato in occasione di Cibus Connect a Fiere di Parma, emerge infatti che la conquista dei mercati esteri rappresenta oggi la più importante opportunità di crescita delle vendite per i prodotti lattiero-caseari italiani. Una sfida che questi prodotti di eccellenza del Made in Italy stanno vincendo, come dimostra un valore delle esportazioni raddoppiato negli ultimi 10 anni (+92{f94e4705dd4b92c5eea9efac2f517841c0e94ef186bd3a34efec40b3a1787622} nel periodo 2006-2016, contro il 72{f94e4705dd4b92c5eea9efac2f517841c0e94ef186bd3a34efec40b3a1787622} delle esportazioni agroalimentari totali. A fonte invece di una calo dei consumi interni nello stesso periodo di 11 punti percentuali. Protagonisti assoluti sono i formaggi, che con i loro 2.4 miliardi di euro di vendite estere solo nel 2016 incidono per l’82{f94e4705dd4b92c5eea9efac2f517841c0e94ef186bd3a34efec40b3a1787622} sul valore totale dell’export di settore, con tassi di crescita estremamente positivi. Un mercato atipico e contradditorio per molti aspetti, ma in cui emerge una continua ricerca e pretesa di qualità da parte dei consumatori. Ma anche da questo punto di vista alcune cose sono cambiate nel corso degli anni. Se infatti in un primo momento in ambito food and beverage venivano privilegiati prodotti e brand con una spiccata attenzione verso i temi dell’igiene e della sicurezza alimentari, immediatamente avvertiti dai consumatori come di qualità maggiore, questa tendenza si è in parte modificata successivamente con l’integrazione di queste caratteristiche da parte degli stessi brand e prodotti in ottica di specializzazione e differenziazione dai competitors: sono nati infatti una sfilza di prodotti OGM free, LACTOSE free etc etc . Le ultime analisi dei trend di mercato danno come criterio di scelta favorito la sostenibilità del prodotto. Ma qui sta l’inghippo. Se da un lato vi sono per altri prodotti di filiera standard di valutazione internazionalmente riconosciuti (come UTZ per caffe, tè e cacao, o MSC per il pesce o PROTERRA per i prodotti agricoli come zucchero e soia) manca del tutto uno standard di valutazione della sostenibilità per l’intero settore lattiero caseario. Il mercato sembra suggerire che vengano premiati principalmente i prodotti con una certificazione di filiera a chilometri 0 (come testimoniano i buoni risultati ottenuti dai prodotti che si fregiano del marchio Piemunto) ma una certificazione riconosciuta e condivisa darebbe probabilmente ossigeno ad un mercato che sul fronte interno soffre l’emergere di mode alimentari e stili di vita e di consumo sempre più veg. Come tracciare quindi i paletti di questo standard di sostenibilità? Una proposta arriva da CSQA, ente specializzato in certificazioni. In questo interessante articolo, infatti, emerge come un primo passo di partenza può essere quello di identificare all’interno dei 3 pilastri della sostenibilità (economico, ambientale e sociale) alcune caratteristiche, per arrivare alla definizione di …«un sistema di valutazione della sostenibilità che permetta di testimoniare il rapporto con l’ambiente, con i lavoratori e con la collettività, con la gestione degli animali (condizioni di gestione dell’allevamento, di benessere animale, di gestione del farmaco) e gli eventuali sforzi di mitigazione nell’ottica della riduzione degli impatti e del miglioramento nella gestione dell’azienda e della mandria con un occhio attento alla produttività» (Maria Chiara Ferrarese, R&S Executive Manager, Business Development Executive Manager – CSQA Certificazioni srl).]]>