Simon Mainwaring

Per le grandi imprese, uccidere velocemente i propri brand non è mai stato così facile come oggi. Traendo ispirazione da fenomeni diversi come la Primavera araba, il movimento Occupy Wall Street e le informazioni NSA rivelate da Edward Snowden – e equipaggiati da tecnologie di connessione che consentono modalità del tutto nuove di comunicazione e organizzazione – i clienti oggi pretendono dai brand che acquistano livelli sempre maggiori di trasparenza, autenticità e responsabilità.

Tra gli esempi recenti, le proteste globali contro Monsanto sugli Ogm, le reazioni contro i commenti poco delicati riguardo alle taglie “comode” espressi dall’AD di Abercrombie & Fitch e il clamore esploso contro i produttori di vestiti a seguito del crollo della fabbrica che ha causato centinaia di morti in Bangladesh.

Sono dinamiche, queste, che oramai costituiscono la componente centrale del consenso dei consumatori riguardo ai brand e della gestione di tale consenso. Ad alimentare tale cambiamento vi sono tre importanti fenomeni sociali: il ritmo sempre più veloce di sviluppo delle tecnologie sociali e mobili, con estese e costose ripercussioni per le strutture organizzative e per le attività di marketing delle imprese; un cocktail impressionante di crisi sociali globali – il cambiamento climatico, l’obesità, la perdita della biodiversità, per citarne solo alcune – le quali, prese singolarmente, minacciano la capacità di crescita delle aziende, e, complessivamente, richiedono un grado sempre più dettagliato di vigilanza da parte della società civile, del governo e dei clienti; e, infine, l’onda crescente di attivismo tra i clienti bene informati e abili nella gestione dei media.

All’incrocio di questi tre fenomeni, le imprese si trovano costrette – forse per la prima volta nella loro storia – a dichiarare chiaramente ciò in cui credono e a dimostrare un impegno genuino ad intraprendere misure che migliorino in modo concreto la vita dei dipendenti, dei clienti e della comunità globale. Se si pensa che solo il 70{f94e4705dd4b92c5eea9efac2f517841c0e94ef186bd3a34efec40b3a1787622} delle imprese nella classifica Fortune 1000 del 2003 esistono ancora nel 2013, si capisce l’urgente necessità di tenere il passo con i tempi, che si tratti di metodi di produzione, di strutture organizzative, di brand marketing o di tutti questi temi.

 

Come rispondere

I marketer più attenti si stanno muovendo in tre direzioni per rispondere alle nuove tendenze sociali:

1) Condivisione attiva dello scopo, dei core value  e della missione dei propri brand: si occupano non solo di marketing, ma anche dell’allineamento dei processi di approvvigionamento, produzione e distribuzione – e della gestione del personale – con la missione aziendale.

2) Attribuzione del marketing della sostenibilità alla funzione delle comunicazioni corporate: le imprese più efficaci non accettano più che il marketing della sostenibilità venga trattato come cause marketing o lasciato alle fondazioni; oggi viene gestito dalla funzione centrale di comunicazione, per raccontare le buone iniziative messe in campo dalle aziende per far crescere il loro business.

3) Nuovo inquadramento del messaggio: le imprese vincitrici si stanno posizionando come celebranti – anziché celebrità – nella comunità dei clienti, lavorandovi assieme per realizzare la missione dei propri brand. Better World (Nike), Shared Planet (Starbucks), Open Happiness (Coca Cola) e Smarter Planet (IBM) sono esempi noti di brand globali che inquadrano il proprio messaggio in termini dei benefici offerti ai clienti. Tutti i brand citati capiscono bene che il futuro del profitto sta nello scopo [purpose], realizzato in modo autentico.

 

Una spada a doppia lama

Naturalmente, sforzi di questo tipo non sono senza rischi. Quando un’impresa mette in vetrina le proprie buone azioni, invita una maggiore vigilanza, che, a seguito delle controversie WikiLeaks, Anonymous e NSA, è già comunque in aumento. Ad esempio, gli attivisti per i consumatori ritengono i produttori dei cibi pronti e delle bibite gassate responsabili di una varietà di problematiche complesse come l’obesità, l’accesso all’acqua potabile e il costo della sanità.

Gli elementi presi in considerazione nello sviluppo della brand reputation ormai comprendono, oltre al marketing, anche la logistica, la gestione del personale, il coinvolgimento dei clienti ed eventuali crisi sociali. Sia che venga definita dal direttore finanziario mitigazione del rischio, sia che venga definita dal direttore commerciale gestione della reputation, la dimostrazione di una maggiore autenticità, trasparenza e responsabilità è ormai una prassi consolidata.

D’altra parte ci possono essere dei risvolti positivi. Lo storytelling per uno scopo specifico può avere un impatto positivo e misurabile sull’utile netto. Le relazioni di sostenibilità di brand come Unilever, Nike e Marks and Spencer descrivono prassi di sostenibilità e processi di misurazione sempre più sofisticati che si sono già trasformati in rilevanti benefici economici, tra cui maggiore fedeltà, soddisfazione e produttività tra i dipendenti.

L’integrità aziendale – i valori dell’impresa e il modo in cui tali valori vengono allineati con i processi produttivi, con la gestione dei dipendenti e con il miglioramento della vita – sarà il fattore critico che determinerà quali aziende prospereranno in futuro. In parallelo con l’emergere di crisi sociali di maggiore complessità e portata, il dialogo tra i brand e i consumatori diventerà sempre più fattivo o polemico, a secondo della percezione dell’impresa come componente del problema o della soluzione.

Per quanto un’azienda possa dedicarsi al riposizionamento strategico, al cause washing o a interventi cosmetici di marketing, niente vale quanto l’allineamento autentico della missione, dei valori e delle prassi del brand. Per l’azienda che cerca la prosperità duratura, infatti, la strada non passa tanto per il marketing quanto per la determinazione del proprio scopo, nel contesto di un mondo interdipendente e intimamente interconnesso.

I brand iconici del futuro saranno quelli con il maggiore impatto sociale positivo. Prima le imprese affronteranno tale sfida, prima si assicureranno un posto nel futuro

http://www.theguardian.com/sustainable-business/inauthenticity-kills-brands