10 domande a tema ESG che ogni impresa dovrebbe farsi

20 Feb, 2022 | Focus Mondo

Le riflessioni dell’economista Dambisa Moyo per rimanere competitivi

Proponiamo qui la traduzione di un articolo dell’economista Dambisa Moyo, pubblicato su Harvard Business Review. Secondo l’autrice, ci sono 10 domande relative all’ambito ESG che ogni impresa corporate dovrebbe farsi prima di elaborare e sviluppare una strategia dedicata.

1. I criteri ESG stanno svantaggiando la competitività dell’impresa?

Temere che un’eccesiva enfasi sui criteri ESG possa nuocere alla competitività di un’impresa non è una preoccupazione fuori luogo. In effetti, è lecito chiedersi se una compagnia, mettendo troppa energia nel raggiungimento degli obiettivi ESG, non perda di vista la propria crescita, la quota di mercato e gli obiettivi di profitto. A marzo del 2021, per esempio, Emmanuel Faber, amministratore delegato di Danone, si è fatto da parte in seguito alle pressioni di alcuni investitori, secondo i quali Faber “non era riuscito a trovare il giusto equilibrio tra la creazione di valore per gli stakeholder e la sostenibilità”. In generale, se le imprese si focalizzano troppo sugli ESG, potrebbero trovarsi in difficoltà a competere con realtà imprenditoriali provenienti da paesi con standard molto meno rigorosi, come per esempio la Cina.

Allo stesso tempo, se una impresa non si focalizza abbastanza sugli ESG, rischia di rimanere indietro rispetto al mercato, perdendo il supporto dei dipendenti, dei clienti e degli investitori, e potenzialmente rischia anche di perdere il diritto di operare in ambienti più rigorosi dal punto di vista delle normative ESG, come gli Stati Uniti e l’Europa. Trovare il giusto equilibrio è difficile perché i parametri di riferimento variano in base ai settori e alle località, nonché nel tempo.

È essenziale che i board rivedano con constante frequenza il loro focus sugli ESG e verifichino la correttezza della loro gestione dei trade off[1].

2.Portare avanti l’agenda ESG significa sacrificare i rendimenti aziendali?

Gli imprenditori dovrebbero sapere che un’attenzione eccessiva sugli ESG potrebbe essere vista da alcuni shareholder come dannosa, o comunque in grado di compromettere i ritorni finanziari. Detto questo, i sostenitori degli ESG sostengono che i ritorni che arrivano dai fondi ESG non sono più bassi rispetto a quelli che arrivano da fondi di equity tradizionali.

In effetti, i profitti possono essere più alti rispetto ai titoli a base ampia. Nel corso di 18 mesi, da novembre 2019 a marzo 2021, l’indice MSCI World ESG Leaders ha superato il tradizionale MSCI Worlds dell’1,84%. Allo stesso tempo, l’indice JP Morgan ESG EMBI Global Diversified ha superato l’indice non-ESG equivalente dell’1,94%. In ogni caso, è importante notare che le grandi compagnie tech sono le maggiori azioniste di molti fondi ESG – e che il settore tecnologico ha collezionato negli ultimi anni importanti rendimenti dell’indice azionario. Questo fa nascere una domanda: l’agenda ESG genera profitti di per sé, oppure siamo semplicemente di fronte al fatto che il settore con il maggior rendimento ha investimenti importanti sugli ESG?

Anche se fosse così, gli investitori non dovrebbero sottovalutare il valore che un’agenda attiva dal punto di vista degli ESG garantisce alle imprese in termini di “licenza di commercio”, ovvero del diritto di fare business, garantito da governi e regolatori.

3. Come stai affrontando i trade off legati agli ESG?

Lo slittamento da un mondo incentrato sul primato degli shareholder finanziari a un capitalismo imperniato su un concetto più ampio di stakeholder abbraccia un’agenda di portata più vasta, che include il cambiamento climatico, la difesa dei lavoratori, la ricerca della diversità di genere e di etnia, i diritti di voto e molto altro. Tutte queste tematiche ESG sono legate a trade off[1] che gli imprenditori devono imparare a gestire.

Per esempio, i board delle compagnie energetiche devono pesare sulla bilancia da una parte il contrasto urgente al cambiamento climatico e dall’altra parte le necessità di oltre un miliardo di persone che non hanno accesso a energia affidabile e a buon mercato. In aggiunta, gli imprenditori sono obbligati a bilanciare il bisogno di agire per il clima e a favore della decarbonizzazione con il rischio che limitare le scorte di energia convenzionale possa far crescere l’inflazione e il costo della vita, attraverso l’aumento delle bollette dell’energia, del riscaldamento e dell’elettricità.

4. In che modo i principi ESG cambiano i processi di due diligence?

Tradizionalmente, le valutazioni degli asset di un’organizzazione (come analizzare il valore delle operazioni di M&A) tendono a focalizzarsi su un insieme di fattori convenzionali. Questi includono le sinergie di business, le conseguenze fiscali e le questioni relative all’antitrust. Oggi, approfonditi processi di due diligence richiedono un audit preciso su come un acquirente o un acquisito affronti alcuni (a volte molti) standard ESG.

Gli audit sugli ESG sono rilevanti anche per la raccolta di capitali, perché anche le agenzie di rating del debito e gli investitori richiedono questi dati aggiuntivi.

Le tematiche che possono rientrare nella due diligence relativa agli ESG includono l’adattamento di prodotti e servizi a materiali e processi rispettosi dell’ambiente, la valutazione della diversità e l’introduzione di pratiche flessibili nel lavoro, il rinnovato impegno nelle modalità di ingaggio delle comunità. Le aziende al giorno d’oggi devono essere pronte a dimostrare di essere in linea con i criteri ESG – con azioni precise e risultati concreti.

5. Dovresti diventare una società benefit?

Tradizionalmente, negli Stati Uniti molte delle imprese sono costituite nella forma giuridica della “Delaware limited liability company” (LLC)[3] che dà priorità agli shareholder finanziari rispetto agli stakeholder ambientali e sociali. Nonostante la Business Judgement Rule consenta ai consigli di amministrazione di queste società di prendere in considerazione gli interessi di una più vasta platea di stakeholder, gli attivisti ambientali e sociali spingono perché le imprese passino alla forma giuridica delle Public Benefit Corporation[4] o della B Corp.

Entrambe queste forme giuridiche mirano a garantire legalmente gli interessi di un gruppo di stakeholder più ampio, che vada oltre i semplici shareholder. In ogni caso, le Public Benefit Corporation sono registrate da specifiche norme riconosciute in 37 Stati, mentre le B-corp sono imprese che sono certificate dall’associazione no profit B-lab in quanto rispettano standard di responsabilità, trasparenza e finalità sociali più alti rispetto alle aziende tradizionali.

Dal punto di vista finanziario, le imprese devono valutare le implicazioni che il passaggio alla forma giuridica delle società benefit o delle B Corp comporta. Per esempio, devono chiedersi se le benefit possano o meno commerciare in diversi mercati azionari nel mondo. Il management deve prestare attenzione a tutti i cambiamenti relativi alla possibilità di prendere decisioni e alle restrizioni legate all’essere società benefit. Per esempio, limita il modo in cui la società ottiene capitali o paga i dividendi?

6. In che modo le imprese dovrebbero affrontare istanze sociali come l’uguaglianza?

I manager devono farsi guidare da una visione di insieme trasparente e coerente nell’affrontare eventi che mettono in luce situazioni di ingiustizia. Recentemente, i board si sono trovati di fronte alla sfida di dimostrarsi coerenti nel tutelare l’uguaglianza tra i vari gruppi etnici e religiosi. Per esempio nel 2020, mentre all’omicidio di George Floyd hanno fatto seguito una condanna pressoché unanime del gesto e dichiarazioni di supporto a Black Lives Matter, ci sono stati episodi di violenza nei confronti di Asiatici che hanno ricevuto una risposta molto meno decisa e risoluta da parte del mondo corporate, come notato da Shalene Gupta in questo articolo dell’Harvard Business Review.

Per il benessere di dipendenti e clienti, le imprese devono essere più trasparenti sull’effettiva gestione di questi aspetti. Un approccio debole rischia di incoraggiare divisioni tra i dipendenti, creando una cultura del “noi contro loro”.

7. Come sviluppare un approccio globale agli ESG?

Un approccio più completo alle tematiche ESG deve sapere includere Paesi e culture diverse. Per esempio, i lavoratori occidentali che sostengono la causa di un maggior equilibrio casa-lavoro si trovano in netto contrasto rispetto ad alcuni lavoratori cinesi che sono disposti a lavorare dalle nove del mattino alle nove di sera, sei giorni alla settimana. I decisori politici e i vertici aziendali devono pesare sia i rischi relativi a un rifiuto dei valori cinesi da parte di lavoratori e clienti in Occidente, sia, al contrario, i rischi di un’opposizione alle prese di posizione liberali dell’Occidente da parte di lavoratori e clienti in Cina. Allo stesso modo, nel caso del cambiamento climatico e ambientale, è impossibile raggiungere un progresso significativo senza il sostegno della Cina e dell’India – anche se la rapidità di cambiamento in questi Paesi dovesse divergere in modo rilevante da quella del mondo occidentale.

8. Come costruire un piano ESG che sia a “prova di futuro” e che tenga in conto le esigenze economiche di domani?

I manager devono concentrarsi sulla definizione di un piano ESG e di un sistema di pensiero che tenga conto di come l’economia potrà essere modellata in futuro, non solo di come è strutturata oggi.

Per esempio, molte società di vendita al dettaglio sono impegnate a un rispetto della diversità molto “visibile” all’interno del loro staff. Ma la realtà è che gran parte di questa forza lavoro è composta da lavoratori meno qualificati che potrebbero più facilmente perdere il lavoro di fronte alla crescita dell’automazione e della digitalizzazione. Secondo il World Economic Forum, entro il 2025 spariranno 85 milioni di posti di lavoro nel mondo a causa dell’automazione.

È vero che si creerà lo spazio per 97 milioni di nuovi posti di lavoro nell’ambito della tecnologia, ma molti di questi richiederanno un livello di competenze e qualificazione molto alto, livello più difficilmente raggiungibile proprio da quelle fasce di lavoratori tutelati dalle più attente politiche di inclusione.

Il sistema scolastico e le politiche educative devono allora assicurare che le nuove generazioni di lavoratori siano dotate degli skill necessari per operare nei luoghi di lavoro del futuro. Ma c’è anche l’onere per le imprese di attivarsi concretamente per riqualificare la loro attuale forza lavoro – e soprattutto per supportare i membri più vulnerabili – in modo che sia in grado di passare a nuovi ruoli. Questo risultato si può ottenere attraverso programmi di formazione ben strutturati, apprendistati e tirocini continuativi. Non agire porterà a un tasso di disoccupazione più alto proprio per quei gruppi di lavoratori che la strategia ESG cerca di proteggere.

9. Come si controllano le performance ESG di un’impresa?

Imprenditori e dirigenti di azienda devono decidere come andrà controllata la conformità dei risultati ESG. Le imprese si rivolgono già a revisori esterni per i temi finanziari, operativi, tecnologici e relativi alla gestione del personale. È lecito domandarsi se anche i criteri ESG vadano controllati e monitorati da studi di revisori contabili o legali esterni e indipendenti, oppure se gli ESG vadano tenuti sotto controllo da organismi normativi globali o nazionali.

Per ora, nonostante gli sforzi delle società indipendenti e degli organi regolatori per definire metriche e standard, il contesto di riferimento per gli ESG rimane ancora molto frammentato. Di conseguenza, la sfida per i board aziendali è definire quali metriche scegliere e usare.

La tendenza è quella di fare in modo che le imprese rendano conto a organismi esterni: non solo normativi ma anche associazioni industriali e di categoria. La Commissione per i Titoli e gli Scambi negli Stati Uniti, per esempio, sta cercando di fare chiarezza sulle credenziali di sostenibilità dei fondi di investimento ESG[5]. Ma ottenere chiarezza sulla definizione dei criteri ESG non è sufficiente. Perché il mercato funzioni in maniera adeguata, un sistema di controllo aperto richiede che esista un insieme di regole armonico e seguito da tutti.

Un passo avanti significativo è stato fatto nel 2021, quando l’International Capital Markets Association (ICMA) ha lanciato un insieme coerente di principi per i green bond, usato dalle compagnie per finanziare progetti sostenibili dal punto di vista ambientale.

10. In che modo le imprese dovrebbero navigare il panorama degli ESG in costante cambiamento?

Mentre valutano quali metriche usare per tracciare i progressi in ambito ESG, le imprese devono essere in grado di mettere a confronto le proprie performance nel tempo, in relazione ai competitor e a fronte di standard regolatori che evolvono. In questo processo, hanno anche bisogno di anticipare in quale direzione si muoveranno le normative sugli ESG. Di conseguenza, i leader d’impresa devono mantenere aperto il dialogo con i regolatori e i decisori politici, e le aziende dovrebbero cercare di cooperare e coordinarsi con le altre imprese del proprio settore per individuare e sostenere le prassi migliori.

Le multinazionali devono approcciarsi agli ESG in modo trasparente, coerente, flessibile, innovativo, sostenibile, sensibile alle differenze culturali, in maniera dinamica e con uno sguardo al futuro. Inoltre, dovrebbero concentrarsi non solo sulla mitigazione dei rischi relativi alle tematiche ESG ma anche sulle opportunità che questo ambito offre per supportare il progresso umano.

 

[1] Trade off: “In economia, relazione funzionale tra due variabili tale che la crescita di una risulta incompatibile con la crescita dell’altra e ne comporta anzi una contrazione. Si parla di trade off quando si deve operare una scelta tra due opzioni ugualmente desiderabili ma tra loro contrastanti”. Da Treccani online: https://www.treccani.it/enciclopedia/trade-off/

[3] Simile alla società a responsabilità limitata in Italia, lo Stato del Delaware consente la gestione più efficiente di tali società, soprattutto dal punto di vista fiscale.

[4] Il corrispettivo delle società benefit in Italia, dove si sta assistendo a una spinta simile.

[5] Anche in Europa si sta facendo uno sforzo simile attraverso la Tassonomia Verde a cui è al lavoro la Commissione Europea.